Salvini fa il nome del presunto stupratore, è bufera

Il professor Ambrosetti: a che titolo il ministro ha tolto il segreto da un’indagine prima che fosse conclusa?
Italian Vice-Prime Minister and Minister of the Interior Matteo Salvini leaves the Prefecture of Genoa after a special Council of Ministers after the State funerals of victims of the Morandi highway bridges collapse in Genoa, Italy, 18 August 2018 ANSA/SIMONE ARVEDA
Italian Vice-Prime Minister and Minister of the Interior Matteo Salvini leaves the Prefecture of Genoa after a special Council of Ministers after the State funerals of victims of the Morandi highway bridges collapse in Genoa, Italy, 18 August 2018 ANSA/SIMONE ARVEDA

VENEZIA. A dare all’Italia nome, cognome e nazionalità del 25enne accusato di aver stuprato una ragazzina di 15 anni, a Jesolo, è il ministero dell’Interno Matteo Salvini, con il più classico dei suoi tweet, che ha colto in contropiede gli investigatori.

Un messaggio lanciato in rete poco prima di mezzogiorno nel quale tira in ballo anche la famiglia dell’indagato, che pure nulla c’entra con questa orribile storia, con commenti personali sulla compagna e riferimenti alla figlia, “grazie” alla quale, sostiene in prima battuta Salvini, l’uomo avrebbe evitato l’espulsione.

Dopo qualche migliaio di condivisioni, applausi e qualche critica, nuovo tweet più snello: spariti i riferimenti a persone e minori estranei alla vicenda, pur mantenendo il post originale come allegato, spariti anche i ringraziamenti alla Polizia, come pure il “verme” con il quale il ministro aveva apostrofato l’indagato.



Questo il testo finale del tweet: «È stato arrestato questa notte dalla Polizia di Venezia Mohamed Gueye, IMMIGRATO senegalese irregolare, accusato di avere STUPRATO a Jesolo una ragazza di 15 ANNI. ROBA DA MATTI! Con il #DecretoSicurezza, se un clandestino stupra, ruba, uccide o spaccia, se ne torna a casa subito, senza se e senza ma». Niente più riferimenti a compagna e figlia, che sono però restati su Fb: un post condiviso decine di migliaia di volta.

Abbiamo chiesto un commento agli avvocati veneziani e al docente di Diritto penale all’Università di Padova, Enrico Maria Ambrosetti.

«Espulsione? Sarà un processo a dover accertare la responsabilità penale: per reati così gravi c’è il carcere, per gli immigrati così come per gli italiani», commenta Anna Maria Marin, presidente della Camera penale di Venezia. «Separazione dei poteri e rispetto delle leggi: la vera giustizia, anche per la povera ragazza di Jesolo, non può che venire da questi principi di civiltà. E serve tutela anche per la figlia dell’indagato: così piccola non può essere schiacciata dalle presunte colpe del padre».

«Intanto ovviamente è evidente che manca qualunque forma di sensibilità per i soggetti coinvolti: si dà per scontato l’accertamento della responsabilità prima ancora del processo e c’è un problema di terribile doppiopesismo», commenta l’avvocato Marco Vassallo, vice presidente della Camera penale veneziana, «se sei italiano hai tutte le garanzie, altrimenti nessuna. Dare a un arrestato del “verme” clandestino delinea proprio una diversa tipologia antropologica: se sei cittadino italiano hai dei diritti, se non lo sei – su base etnica – poco importa anche divulgare il possibile cognome dei parenti: vali meno perché compagna e figlia di un immigrato? È evidente che per il ministro dell’Interno ogni sua azione è giustificata dall’avere consenso o no».

«Ovvio che l’arresto di un uomo accusato di violenza sessuale sia una notizia: ma a che titolo il ministro, divulgandone le generalità, ha tolto il segreto sulle indagini, che esiste finché non viene depositato l’atto?», risponde il processor Enrico Maria Ambrosetti, docente di Diritto penale all’Università di Padova.

«Da anni gli avvocati penalisti protestano, soprattutto nei casi non sia ancora stata accertata la responsabilità dell’indagato. Si tratta di vicende dolorose per le vittime, ma anche delicate e non è la prima volta – non sarà questo il caso, del quale non so nulla e sul quale non mi esprimo – che un’accusa si rivela infondata. Un maggior riserbo da parte delle istituzioni sarebbe indicato. Però è anche vero che ogni giorno ci sarebbero osservazioni da fare su quanto avviene».

«Suggerirei al ministro», conclude Ambrosetti, «come sto facendo io, di leggere o rileggere su “Il Dubbio” – il quotidiano del Consiglio nazionale dell’ordine degli avvocati – il racconto del processo Dreyfus: ci vorrebbe qualche Emile Zola in più». Nel 1898, lo scrittore francese scrisse il suo “J’Accuse” in una lettera aperta al presidente Faure, per denunciare le irregolarità che avevano caratterizzato il processo ad Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese di origine ebraica, accusato di alto tradimento a favore dell’Impero tedesco. Condannato alla deportazione dopo un giudizio sommario – con una grande ondata antiebraica – Dreyfus fu prosciolto in Cassazione da ogni accusa nel 1906.

Zola, condannato per vilipendio, era già morto.
 

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