Salva la neonata dopo il parto: la mamma la chiama come lui
MESTRE. Da Mestre alle zone più povere dell’Africa per contribuire a salvare vite, e una di queste oggi porta il suo nome in segno di riconoscenza. Nicolò Mattana a 22 anni ha fatto armi e bagagli per trasferirsi a Preston in Inghilterra, in cerca di un posto di lavoro quale infermiere, dal momento che a Venezia non c’era verso di sistemarsi dopo la scuola professionale.
Dopo due anni lavora al Pronto soccorso del St. Marys’s Hospital di Londra, ma la sua grande passione per la medicina umanitaria negli ultimi mesi lo ha portato ad affrontare esperienze di volontariato come infermiere pure in Nepal e Ghana. E lui stesso racconta: «Ho deciso di affrontare un’altra esperienza di volontariato in Uganda con l’associazione Medical Team International, perché volevo dare il mio contributo alla crisi umanitaria del Sud Sudan. L’esperienza si sviluppa in un mese, ogni settimana lavoriamo in differenti campi di rifugiati sparsi per la regione nord dell’Uganda vicino alla città di Adjumani. Il team è composto da me, un pediatra e un medico di base americani.
Un giorno stavo lavorando della clinica di Ayilo, dove svolgevo il mio compito di valutazione dei pazienti (triage avanzato, valutazione dei parametri e richieste di laboratorio, ndr), quando l’ostetrica ugandese che lavora nella clinica è venuta a chiedere assistenza per il parto di una ragazza». Non avendo tanti pazienti da valutare, l’infermiere mestrino ha dato la sua disponibilità ad assistere. Una volta arrivato in sala parto, ha trovato la donna pronta a dare alla luce la sua bambina. «Tutto è avvenuto nell’arco di pochi minuti», prosegue Nicolò Mattana.
«L’ostetrica ha accompagnato il parto, una volta conclusa la fase espulsiva e tagliato il cordone ombelicale, mi ha passato la bambina». Qui purtroppo il personale ha vissuto una fase critica, poiché la piccola non piangeva. L’infermiere mestrino si è quindi adoperato in tutte le procedure necessarie.
«Alla fine la bimba ha cominciato a piangere vigorosamente», racconta ancora il giovane. «Così, avvolta nelle coperte a disposizione e somministrata la vitamina k, l’ho subito ridata alla madre, che con un sorriso mi ha ringraziato. L’emozione è stata immensa. Aiutare queste persone, la maggior parte rifugiati provenienti dal Sud Sudan e che vivono in capanne di fango, mi ha riempito di gioia. La madre per ringraziarmi ulteriormente ha deciso di dare alla figlia il mio nome, abbreviandolo in Nico». Il presidente del Collegio Ipasvi di Venezia, Luigino Schiavon, osserva: «Ciò dimostra la valenza degli infermieri veneziani, un centinaio dei quali in questi ultimi anni sono migrati in Inghilterra, Irlanda e Germania in cerca di lavoro. In un territorio in cui la mortalità infantile è altissima, Nicolò ha salvato una giovane vita, e questo ci riempie di orgoglio. La riconoscenza della madre è un ulteriore attestato di tutto ciò».
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia