Rubelli abbraccia il mondo della moda i suoi tessuti nei negozi Tiffany & Co.

IL RITRATTO
C’è la gioielleria, nel presente e nel futuro di Rubelli, che ha la tonalità acquamarina di Tiffany & Co., quel verde con un sospiro di azzurro che spicca tra mille vetrine, nelle strade eleganti, in ogni angolo del mondo. Tutti i negozi di Tiffany sono rivestiti con i tessuti di Rubelli che, al volger del 130esimo anno di vita, e con il ritorno nel palazzo di famiglia a San Samuele, a Ca’ Pisani Rubelli, si spalanca al mondo della moda.
Dopo Vivienne Westwood, Dolce & Gabbana e gli eterni velluti delle borse di Roberta di Camerino, l’azienda veneziana stringe nuove, felici alleanze con Cartier, Gucci, Pal Zileri. E proprio il marchio di abbigliamento maschile ha chiesto a Rubelli i broccati per realizzare lo zaino Tadzio, presentato alla scorsa Design Week di Milano, ispirato all’ambigua figura del protagonista del film “Morte a Venezia” di Luchino Visconti e subito diventato un must have.
«Quello della moda è un ottimo mercato, che si sta sviluppando bene» spiega Nicolò Favaretto Rubelli, che insieme ai fratelli Andrea e Lorenzo, e naturalmente al padre Alessandro (che è il presidente), perpetua, tutela e accresce l’azienda di famiglia, fondata nel 1889 da Lorenzo nello stesso luogo, con la medesima vista ed eguale lungimiranza.
C’è molto Medio Oriente nelle commesse di Rubelli, a cominciare da una villa di Gedda, in Arabia Saudita, il cui nome del proprietario è inaccessibile, e per la quale - solo di tessuti d’arredamento - è stata fatta una fornitura da 700 mila euro. Poi c’è l’emiro del Dubai, che quando rinfresca uno dei suoi molti palazzi per una delle sue molti mogli, vuole stoffe create solo per lui, intrecciate di fili d’oro, sontuose, abbaglianti, che gli assomiglino un po’.
Cresce il Medio Oriente, nel business di Rubelli, così come gli Stati Uniti, seguiti dalla Gran Bretagna e Francia, va a dire Parigi, dice ancora Nicolò Favaretto Rubelli, dove l’azienda ha inaugurato un nuovo negozio a Saint-Germain-des Prés.
Un fatturato per il 2017 di 72 milioni di euro, 130 dipendenti, il recente trasloco da Palazzo Corner Spinelli a San Samuele dopo il restauro della dimora degli avi durato dieci mesi, fanno di Rubelli uno di quei miracoli economici in cui famiglia e affari sono talmente coesi da far sembrare poco moderno il mondo globale. Cinque generazioni - con la sesta, quella dei nipoti, in arrivo - che non si sono distratte, che non hanno pensato di cambiare mestiere, di snaturarlo, di litigare, bensì hanno fatto tesoro dei broccati, dei velluti, i damaschi, le sete di regge e teatri, musei e castelli e di cui restano, a futura memoria, i 7 mila pezzi dell’archivio storico che raccoglie tessuti dal Quattrocento a oggi.
Cassetto dopo cassetto, nel piano nobile del palazzo, sfilano il tessuto “ganzo”, del Settecento, in metallo, e l’ “allucciolato”, su velluto alto e basso, con trame d’oro, anellini di metallo, non riproducibile; drappi, paramenti, a volte solo frammenti più piccoli di un fazzoletto, nati anche grazie alla collaborazione con Guido Cadorin, Vittorio Zecchin, Gio Ponti; pezzi di stoffa talmente preziosi da poter essere mostrati a rotazione per poi essere riposti al sicuro in un caveau a temperatura costante.
I quattro piani del palazzo, per un totale di 400 metri quadrati, hanno ciascuno il proprio ruolo.
A piano terra, dal cui soffitto scende un tessuto con fibra ottica in trama, cioè dotato di luce propria, c’è la sala dedicata alla vendita; poi, salendo, i due salotti dedicati ai mobili - quelli della collezione Rubelli e la Stanza Donghia con le pareti foderate di velluto - la sala con i ritratti di famiglia, quella del Caminetto, rivestita di Damasco Bestegui blu e oro, che sarà riservata ai piccoli eventi.
La volontà di Rubelli è infatti quella di trasformare l’edificio del Trecento in un salotto diffuso, aperto alla città, nel quale entrare per dare un’occhiata alle nuove collezioni, ritrovarsi per la presentazione di un libro, una conferenza, un incontro, oppure un piccolo evento.
Un occhio alla socialità e l’altro al futuro, ci sono molti tessuti tecnici negli ordini di Rubelli, ovvero stoffe solide, più forti degli strappi, delle abrasioni, dell’usura e delle unghie del gatto. «Rubelli è nota per la sua venezianità», dice ancora Nicolò, «e quindi mi spiace, anzi non sopporto, quando mi parlano solo della bellezza dei nostri prodotti e non abbastanza della loro prestazione. In questo senso vorremmo, come dire, scendere un po’ dall’altare e far passare il messaggio che i nostri tessuti sono anche molto resistenti».
Dopo l’acquisizione di Donghia nel 2005 e, ancor prima, della francese Dominique Kiefer, Rubelli guarda a nuovi, futuri accordi.
«Oggi il mercato è molto più competitivo, non possiamo pensare di fare tutto da soli», spiega ancora Nicolò, «è utile e importante fare alleanze per avere una presa maggiore sul mercato. Dopo l’arredamento, stiamo valutando anche il settore dell’illuminazione».
La linea di arredo Rubelli Casa conta ora una nuova collezione, ideata dall’architetto Marco Piva, ispirata agli anni Cinquanta e a Cinecittà. Ecco allora che la poltrona si chiama Loren e il pouf Sophia: sinuosi, e comodissimi. —
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