Ruba i soldi dalla cassa, commessa dovrà risarcire
MESTRE. Il meccanismo era semplice: i clienti pagavano i loro acquisti con le carte elettroniche - ovvero bancomat e carte di credito - lei emetteva gli scontrini fiscali, che poi annullava. E si prendeva i contanti dalla cassa per un corrispettivo pari alla spesa appena effettuata dal cliente. Essendo annullato, lo scontrino non risultava conteggiato nel totale che normalmente viene fatto in ogni negozio a fine giornata con la chiusura della cassa. E quindi per diverso tempo nessuno si era accorto del trucchetto.
Uno stratagemma, quello affinato da una commessa di un negozio di Favaro (che ora ha chiuso i battenti ma non per questa vicenda, come ha sancito il giudice) che è andato avanti dal 2013 al 2015, finché una cliente si è insospettita e ha segnalato tutto alla direzione. Che ha fatto le sue verifiche, avviato il procedimento disciplinare nei confronti della dipendente infedele - assunta nel 2008 - con la sospensione immediata dal lavoro, arrivando poco dopo al licenziamento per giustificato motivo. Il caso è approdato davanti al tribunale del lavoro - giudice Paola Ferretti - con un doppio ricorso che è stato riunito: da un lato la commessa ha impugnato il licenziamento, dall’altro la società proprietaria del negozio ha chiesto il risarcimento del danno, quantificato in 31.936,77 euro, per l’appropriazione indebita, aggiungendo anche 150mila euro di danni per la sopravvenuta chiusura del negozio.
A far scattare le indagini e il procedimento disciplinare era stata una cliente che, si legge nella sentenza emessa qualche settimana fa, «aveva segnalato di avere ricevuto uno scontrino “annullato” a fronte di un acquisto e regolare pagamento a mezzo bancomat del corrispettivo. Dalle verifiche era emerso che l’emissione di scontrini “annullati” era iniziata a luglio 2013 e proseguita, con l’emissione di uno o più di tali scontrini per quasi tutti i giorni, sempre e solo nei turni della commessa».
La lavoratrice ha contestato i fatti, sostenendo che in ogni caso non c’era la dimostrazione dell’appropriazione indebita, posto il fatto che alla cassa avevano accesso più persone. La giudice ha disposto una consulenza tecnica sulla gestione della cassa. Incrociando i dati estrapolati dalla cassa con gli orari di lavoro in cui la commessa era da sola, il consulente del tribunale ha accertato che l’ammontare di scontrini annullati a fronte di pagamenti effettuati con carte elettroniche è pari a 13.668,51 euro. E tanto dovrà risarcire l’ex lavoratrice alla società. La giudice ha confermato il licenziamento, respingendo invece la richiesta della ditta di risarcimento per aver chiuso il punto vendita.
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