Rivoluzione negli ospedali in Veneto: più cure e meno ricoveri
VENEZIA. La sanità del Veneto cambia volto e prova ad adeguarsi alle nuove dinamiche del welfare: allungamento della vita media della popolazione, riduzione progressiva delle risorse pubbliche disponibili, libera scelta dei pazienti nell’ambito dell’Unione europea. La riforma che si delinea dalle “schede di dotazione ospedaliera-territoriale” - approvate in mattinata dalla giunta di Luca Zaia dopo un anno di discussioni - privilegia decisamente la razionalizzazione rispetto ai temuti tagli lineari. Punto di partenza è la limitazione dei ricoveri tramite il rafforzamento delle cure territoriali con la nascita degli ospedali di comunità e delle medicine di gruppo integrate per riavvicinare medici e pazienti.
A fronte di una spedalizzazione pari a 3,5 per 1000 abitanti, in linea con la percentuale dettata dal ministero della salute, calano i posti letto ospedalieri riservati ai malati acuti (500 euro il costo giornaliero) e crescono quelli di comunità destinati a riabilitazione e lungodegenza (il cui onere non supera i 150 euro) che sorgeranno in reparti e padiglioni dismessi ma anche in case di riposo; il saldo è +36 (per un risparmio annuale stimato in cento milioni) con conseguente aumento del numero dei primariati che passerà dagli attuali 727 a 754. Ancora, la manovra triennale mira a potenziare l’urgenza-emergenza per assicurare una risposta ai casi gravi entro la «golden hour» (fatidica frazione di tempo spesso decisiva) salvaguardando le eccellenze nella terapia clinica. Ma l’architrave del progetto è la rinnovata gerarchia degli ospedali, suddivisi in “hub” di riferimento europeo (le Aziende ospedaliere di Padova e Verona) con garanzia di risposta per le alte specialità, compiti di didattica e di ricerca; poli di riferimento provinciale - gli ospedali capoluogo di Mestre, Treviso, Vicenza, Belluno, Rovigo - e presìdi provinciali “spoke”, concepiti su un bacino assistenziale di circa 200 mila abitanti.
A completare il sistema, le reti cliniche dotate di telerefertazione e teleconsulto che riguardano l’oncologia, l’emodinamica, l’ictus, le emergenze-urgenze pediatriche e neonatali, le emorragie digestive, le neuro e cardiochirurgie, le radiologie, i laboratori con la centralizzazione della fase analitica, le anatomie patologiche, la riabilitazione. Ma cos’è in concreto l’assistenza territoriale, autentico caposaldo delle schede? È un modello che abbina le cure primarie (garantite dalla medicina generale) alle strutture di ricovero intermedie (Ospedali di comunità, Unità riabilitative territoriali e Hospice per malati terminali) coinvolgendo i medici di famiglia. Proprio ieri la giunta regionale ha approvato la delibera che li impegna a garantire «un’assistenza globale, dalla prevenzione alla palliazione, centrata sulla persona h24 e 7 giorni su 7». In che modo? Allestendo team multiprofessionali - costituiti da medici e pediatri di famiglia, specialisti, medici di continuità assistenziale, assistenti sociali - che avranno come leva la Centrale operativa territoriale: attivata in ogni Ulss, coordinerà la “presa in carico protetta” del paziente, fungerà da raccordo tra le strutture ospedaliere e territoriali e sarà attivata su richiesta dei medici o delle famiglie del paziente. Altro cardine, la rete urgenza-emergenza che si articola in un coordinamento regionale e sette centrali operative su base provinciale; 44 le unità di pronto soccorso negli ospedali, 4 punti di primo intervento e altrettanti servizi di elisoccorso, 46 automediche e 100 ambulanze di soccorso avanzato.
La tabella di marcia? Garantire un tempo massimo d’arrivo sul luogo richiesto di 15 minuti nell’80% dei casi e di 20 minuti nel 90% del totale. Non solo sanità pubblica, la riforma investe anche il sistema di cliniche, poliambulatori e ospedali privati. L’ammontare dei loro posti letto scenderà nel triennio da 3019 a 2.869 unità, un -5% concentrato su Venezia, Verona e Rovigo anche se sono state concesse 25 degenze hospice per malati terminali al Policlinico San Marco di Mestre. Il confronto con le associazioni imprenditoriali non è stato indolore, stante la riduzione del budget regionale sui rimborsi, ma infine l’obiettivo è stato centrato. Che altro? Questa riforma arriva a 17 anni di distanza dal precedente Piano socio-sanitario e seguirà l’identico iter dei decreti del Governo: dibattito in commissione, con facoltà di apportare emendamenti al testo originale, e voto finale dell’aula; come dire, c’è il margine per un ultimo assalto alla diligenza da parte dei consiglieri più sensibili a lobby e pressioni territoriali.
Gli artefici della svolta - Zaia, l’assessore Luca Coletto, il segretario generale della sanità Domenico Mantoan - sono decisi a impedire stravolgimenti, convinti che in assenza di regole nuove, che aggrediscano alla radice sprechi e inefficienze, il sistema rischi il collasso. C’è un problema finanziario - da qui al 2015 il Veneto vedrà ridotti di un miliardo i fondi assegnati dal ministero - ma ancor più è indispensabile adeguare il circuito della sanità alle esigenze di una comunità in rapida trasformazione. Una scommessa da vincere, sì. Pena il declino.
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