Rivelazione e utilizzo di segreto chiesti due rinvii a giudizio

Nei guai un sottocapo della Capitaneria accusato di informare Antonio De Martino prima dei controlli e lo stesso imprenditore. Respinto il suo ricorso per riavere i 250 mila euro sequestrati sotto il letto
Di Giorgio Cecchetti

LIDO. I 250 mila euro sequestrati all’imprenditore del Lido Antonio De Martino, una parte dei quali trovati dai carabinieri del Ros sotto il letto di casa sua, rimangono sotto sequestro. Ieri, infatti, i giudici del Tribunale del riesame di Venezia presieduti da Angelo Risi, hanno respinto il ricorso presentato dal suo difensore, l’avvocato Renato Alberini, il quale aveva presentato un voluminoso dossier nel quale si sosteneva che quel denaro era il frutto dei guadagni del tutto leciti dei locali (sono ben otto al Lido) che fanno riferimento alle società di De Martino, indagato per associazione a deliquere di stampo mafioso.

Ieri, intanto, il pubblico ministero Paola Tonini ha depositato gli atti di una parte dell’inchiesta, ritenendo di aver concluso gli accertamenti e apprestandosi a chiedere il rinvio a giudizio per rivelazione e utilizzo di segreti d’ufficio dello stesso De Martino e del sottocapo della Capitaneria di Porto di Venezia Antonio Cairo, difeso dagli avvocati Augusto Palese e Gian Luca De Biase.

Stando alle accuse, gli investigatori dei carabinieri avrebbero, tra le altre, intercettato una telefonata di Cairo a De Martino prima dell’estate in corso. Il sottufficiale della Guardia Costiera avvisava l’imprenditore di origine calabrese che il giorno seguente i colleghi della Capitaneria di Porto sarebbero arrivati sulle spiagge lidensi del Des Bains e dell’Excelsior, gestite da De Martino, per compiere alcuni controlli. I superiori di Cairo, sentiti dagli inquirenti, avrebbero spiegato che si tratta di controlli usuali, ma che si dovrebbero compiere a sorpresa in modo che chi viene controllato non sistemi le cose in vista della visita ispettiva. Cairo, invece, avrebbe avvertito dell’arrivo dei controlli. Anche i difensori di Cairo avevano presentato ricorso al Tribunale del riesame, ma prima che l’udienza iniziasse hanno rinunciato.

Ieri, durante l’udienza davanti ai giudici del Tribunale, il pm Tonini e l’avvocato Alberini hanno illustrato le loro opposte tesi. La rappresentante dell’accusa ha presentato nuove prove per sostenere la tesi che quei soldi debbano rimanere sotto sequestro perché sarebbero la prova del reato di cui è sospettato De Martino.

Tra queste c’è l’intercettazione di una telefonata tra l’imprenditore calabrese trapiantato al Lido da 20 anni e il 42enne Gennaro Longo, titolare assieme ai suoi fratelli (tutti di Lamezia Terme) dell’impresa edile «Elle Due Costruzioni srl. I Longo sono finiti sotto inchiesta per l’appalto della caserma dei carabinieri di Dueville (Vicenza) con le accuse di turbativa d’asta e truffa, ma soprattutto «avrebbero rappresentato in Veneto gli interessi della ’ndrangheta imprenditoriale edile calabrese e con la loro impresa edile si sarebbero posti “al servizio” delle famiglie Iannazzo e Giampà», le stesse con le quali avrebbe avuto rapporti strettissimi De Martino. Nella telefonata tra l’imprenditore del Lido e uno dei Longo, il primo si sarebbe reso disponibile a fornire operai e mezzi (in particolare gru) per i lavori della «Elle Due» alla caserma di Dueville. Gennaro Longo avrebbe addirittura detto che era venuto a Venezia perché voleva un consiglio proprio da De Martino. E, stando ai carabinieri del Ros, i due si sarebbero incontrati due volte. L’imprenditore del Lido ieri ha sostenuto che alla fine Longo non ha avuto bisogno dei suoi operai e mezzi.

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