«Rischio di chiudere, colpa dello Stato»
Nel teatro del paradosso Italia va di scena lo spettacolo dell’assurdo. Questa la trama: un imprenditore avanza 400mila euro dallo Stato che non rispetta i tempi di pagamento, l’imprenditore per questo non riesce a onorare gli adempimenti fiscali, lo Stato lo punisce impedendogli di accedere agli appalti e bloccando i crediti a suo favore.
Protagonista della storia, verissima e purtroppo valida per moltissimi altri casi, è Dimitri Tiozzo, 47 anni, amministratore della Gianfranco Tiozzo srl, azienda con sede a Marghera che si occupa di infrastrutture e che ora è sottoposta a un altro strumento per certi versi paradossale (e costosissimo), introdotto dal governo Monti: il concordato con continuità. «Rischio di chiudere per colpa dello Stato: non voglio mollare», avverte orgoglioso, «anche se ci ho pensato seriamente. Intanto ho ipotecato la casa. Di fronte a questi episodi non mi stupisco che ci siano imprenditori che si suicidano».
La ditta, nata negli anni ’50, lavora nel mondo dell’edilizia, settore trainante per l’economia veneziana pre-crisi. Le cose vanno a gonfie vele: una cinquantina di dipendenti, un fatturato che si aggira attorno ai 15milioni di euro l’anno, molte commesse: manutenzioni e ristrutturazioni soprattutto a Venezia, opere marittime, banchinamenti. Nel curriculum perfino la costruzione di un porto in Tunisia.
Dal 2008, le cose precipitano. Il settore delle costruzioni subisce un tracollo: il fatturato cala di oltre il 70% e si attesta a circa 2milioni, le banche chiudono i rubinetti del credito. La situazione è drammatica, per fortuna la società avanza soldi dalla Pubblica amministrazione, per l’esattezza 400mila euro. Ditta salva, dunque? Nient’affatto e il motivo è semplice: la Pa non paga e l’azienda si ritrova con l’acqua alla gola. Se avesse quei soldi, non ci sarebbero problemi, almeno per quanto riguarda gli oneri fiscali: Inail, Inps, tasse varie verrebbero soddisfatte.
Siccome però ciò non può avvenire per mancanza di liquidità, il Durc (documento unico di regolarità contributiva) diventa negativo e le conseguenze sono nefaste: nell’ambito dei lavori pubblici la Tiozzo Gianfranco srl perde l’aggiudicazione degli appalti, non può stipulare contratti, non ha diritto al pagamento da parte dei committenti pubblici (che in ogni caso sono inadempienti) e alle eventuali liquidazioni finali.
Insomma, la ditta di Marghera non può lavorare e non può percepire i crediti che avanza. Nei primi mesi del 2013 decide di rivolgersi al Tribunale per valutare una proposta di “concordato in continuità”, procedimento disciplinato dal diritto fallimentare che prevede per l’azienda la possibilità di mantenere attiva la propria produttività sotto il controllo diretto di un commissario incaricato e attraverso la creazione di una azienda parallela, nominata Newco, di proprietà dello stesso Tiozzo. Nasce la Comes srl nella quale vengono assorbiti 25 lavoratori. In poco tempo anche questa azienda accumula crediti nei confronti degli Enti pubblici, circa 200mila euro, soldi senza i quali si rischia un nuovo Durc negativo. Ciliegina sulla torta, entro lunedì l’imprenditore dovrà depositare 90mila euro, prima tranche dei 700mila corrispondenti al costo del concordato in continuità. Della questione si occupa Federcontribuenti: «Situazione talmente assurda da risultare ridicola», dice Marco Paccagnella, presidente nazionale dell’associazione. «Le imprese sono alla resa dei conti: lo Stato distrugge per mangiare, ma fra un po’ non ci sarà più nulla di cui sfamarsi».
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