«Rischiamo di chiudere 133 scuole»

Sentenza della Cassazione, il presidente provinciale della Federazione materne cattoliche: «Rette inferiori ai costi»
Di Francesco Furlan

La miccia è stata accesa a Livorno ma il caso è deflagrato a livello nazionale e ha coinvolto anche il Veneziano. È giusto - come ha certificato nei giorni scorsi la corte di Cassazione per due istituti della città toscana - che le scuole private comprese quelle riconosciute come paritarie paghino l’Imu? Il dibattito è di quelli che accendono gli animi. E dividono. Perché in ballo ci sono temi come la laicità dello Stato, l’educazione dei bambini e le scelte delle famiglie, quando una scelta è possibile. Perché in Veneto, in quasi un comune sue due, non c’è alternativa per le famiglie alle scuole materne parrocchiali. Ed è su queste che è concentrata l’attenzione. «Se le scuole si trovassero a pagare l’Imu», spiega Stefano Cecchin, presidente provinciale della Federazione italiana scuole materne cattoliche (Fism), «non ci sarebbero molte alternative alla chiusura. È vero, si potrebbero aumentare le rette, ma queste scuole sono nate e devono restare come scuole di comunità e popolari. E quindi non è possibile chiedere alle famiglie ulteriori sforzi». Qualche numero può aiutare a capire. Sono 133 gli istituti dell'infanzia di cui 43 con il nido integrato associati alla Fism. Accolgono quasi 12 mila bambini, quasi 1 su 2 di tutti i piccoli tra i 3 e i 6 anni della provincia.

E in molti comuni - come si diceva - i genitori non hanno alternative alle scuole parrocchiali, a meno di non voler macinare ogni giorno chilometri per raggiungere la scuola materna statale più vicina. Le famiglie pagano una retta mensile che è mediamente di 160 euro al mese con punte di 200 in alcune scuole mentre il costo medio - secondo i dati Fism - di un bambino è di circa 3 mila euro l’anno, a fronte di un costo standard che per i bambini delle scuole statali dell’infanzia è, stando ai dati del ministero dell’Istruzione, di 5.700 euro. «È un passaggio chiave molto delicato», aggiunge Cecchin, «perché la legge prevede che, per le scuole in cui la retta è simbolica, e quindi inferiore al costo standard di riferimento, ci si debba attenere al regolamento degli enti non commerciali, che esenta dal pagamento dell’Imu. E’ il caso delle nostre scuole materne, che sono nella pratica enti no-profit, perché non fanno profitti». Un’interpretazione sulla quale però la Corte di Cassazione è passata sopra come uno schiaccia-sassi, anche se ieri a precisarne la posizione è intervenuto il Primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce spiegando che spetta «al contribuente» - in questo caso le scuole parrocchiali - «l'onere di provare» che «in concreto» l'attività formativa «non sia svolta con le modalità di una attività commerciale».

E intanto il governo è al lavoro per trovare una via d’uscita. Oggi nelle paritarie la retta pagata dalle famiglie copre circa il 60% della spesa, mentre la rimanente parte è coperta da finanziamenti pubblici: il 17% dallo Stato, il 7% dalla Regione e il 16% dal Comune, finanziamenti messi a bilancio ma spesso erogati in ritardo, che obbligano i comitati di gestione delle scuole, delibera alla mano, a bussare alle porte delle banche. «Siamo su un piano inclinato sul quale scivoliamo da tempo», aggiunge Cecchin, «prima i finanziamenti, oggi l’Imu, tra un po’ ci sarà l’Iva e i contratti per i docenti». «Quel che bisogna fare», aggiunge in sintonia con una nota diffusa ieri sera della Fism nazionale, «è aprire un vero confronto sulla parità scolastica in Italia».

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