Ripresa l’ondata dei clandestini afghani
Dall’inizio dell’anno nel veneziano sono arrivati nascosti nei camion e nei treni merci una sessantina di giovani afghani. Per la nostra legge sono clandestini. Sono i dati certi raccolti dalla Prefettura. Ma il numero di transiti è sicuramente superiore. Si tratta di stranieri arrivati in stazione a Portogruaro, al porto di Venezia o trovati dalla polizia di Chioggia lungo la Romea o al porto della città. Per la nostra legge sono clandestini anche se il loro progetto di migrazione considera l’Italia solo un luogo di transito. La meta rimane il centro e Nord Europa o l’Inghilterra. Così come lo era negli anni Ottanta quando è iniziata la migrazione dall’Afghanistan.
Venezia e il Veneto sono stati, fino al 2012, un importante punto di transito nella migrazione delle due etnie che da decenni si sono messe in movimento: pashtun e hazara. Questo ruolo la nostra città e provincia ricominciano ad averlo, stando a Francesca Grisot, dottore in ricerca che da anni si occupa della migrazione del popolo afghano. «I flussi migratori degli afghani sono ripresi. I contatti che ho in Grecia mi confermano che sono ripresi gli arrivi sulle isole greche e i viaggi attraverso la rotta balcanica e i collegamenti tra i porti greci e l’Italia. Già quando ho preparato la mia tesi di dottorato, nel 2012, su questa migrazione sostenevo che quello a cui assistevamo in quel momento era solo una minima parte di quanto ci dobbiamo aspettare in termine di arrivi».
Chi si mette in movimento vive ora a cavallo tra Afghanistan e Pakistan e tra Afghanistan e Iran. Persone che per molti versi hanno perso l’identità di afghano e parlano ad esempio dialetti che non sono più la lingua originaria. Nel 2004 dei tre milioni di afghani arrivati in Pakistan l’85 per cento non voleva più tornare in Afghanistan, mentre il 74 per cento viveva fuori dai campi di accoglienza e il 55 era minorenne. A ondate diverse, queste persone si sono messe in movimento. «Tutti puntano ad arrivare in Paesi del nord Europa, Le loro mete sono Svezia, Norvegia e poi Danimarca, Belgio e Olanda. E in parte anche puntano a Londra. L’Italia da sempre è considerata punto di transito e di sosta per entrambe le etnie che qui e, ad esempio, anche in Grecia convivono nei campi anche se hanno progetti di migrazione diversi» spiega Grisot che ha pure lavorato per il Comune di Venezia e per la polizia come interprete «Questi che si sono messi in viaggio ora sono la cosiddetta seconda generazione cresciuta fuori dal loro paese in Iran o in Pakistan. La rete in questo momento è il luogo dove apprendono tutto il know-how per il loro progetto. Qui trovano tutte le informazioni fornite da chi li ha preceduti nella migrazione. Sono familiari, parenti, amici e quando si mettono in viaggio sono a perfetta conoscenza di cosa spetta loro e cosa loro possono chiedere e ottenere. Chi ha già raggiunto i paesi di destinazione sono i loro fratelli più grandi. Loro erano piccoli quando gli altri sono partiti. Sono persone a cui non interessa ritornare in Afghanistan che magari hanno conosciuto solo quando sono stati rimandati al paese di origine dalle autorità iraniane o pakistane. In certi momenti questi paesi hanno creato problemi ai migranti. Da decenni la rotta balcanica e il tratto via mare fino ai porti dell’alto Adriatico, interessano Venezia e il Veneto. Ma pochissime di queste persone restano qui da noi. Naturalmente quello che viene appreso in rete poi serve a queste persone per approntare strategie utili a raggiungere la mèta. Quindi rispetto al passato magari ci sono dei cambiamenti nell’uso di mezzi e luoghi di sosta».
In questo momento nel veneziano arrivano con i treni dalla rotta balcanica. In gran parte stazionano in attesa del treno giusto nelle città serbe. Qui, una volta individuato il convoglio giusto si nascondono all’interno di vagoni merci e in tre giorni arrivano in Veneto. Una volta raggiunta Verona proseguono per il Brennero. Chi raggiunge il porto di Venezia ha lo stesso obiettivo: il Brennero e l’ “Europa dei diritti”. Ma c’è anche chi muore a pochi giorni dalla mèta, come quello trovato asfissiato la scorsa settimana in un vagone a Portogruaro.
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