Rinviato in Egitto dopo l’indagine
MESTRE. L’espulsione coatta dell’imam ha un precedente nel 2002, quando venne rimpatriato nel suo paese un egiziano accusato di essere legato a gruppi della galassia di «al Qaeda.
Barakat Adel Ahmed, all’epoca 45enne era residente a Mestre. Il 29 novembre 2001 la sua casa di Mestre, al civico 21 di via Costa, era stata perquisita dai poliziotti della Digos milanese arrivati in laguna perché indagavano su una cellula del «Gruppo salafita per la predicazione del combattimento», l'organizzazione algerina da tempo federata con «al Qaeda».
Barakat aveva ottenuto il permesso di soggiorno dalla questura milanese, poi si era trasferito a Mestre e aveva trovato lavoro come elettricista in una fabbrica di Marghera. A Milano ci andava spesso per i rinnovi del soggiorno, ma gli inquirenti vedevano che incontrava un amico algerino finito in carcere perché sospettato di far parte della cellula del Gspc. La perquisizione, però, aveva dato esito negativo. Un solo indizio, dopo l'11 settembre aveva spedito all'amico algerino un messaggio di congratulazioni. Troppo poco non solo per arrestarlo, ma pure per continuare a sottoporlo ad indagini. Dopo quella perquisizione l'egiziano aveva perso il lavoro e aveva anche cambiato casa. Prima di trovarne un'altra, in Riviera del Brenta, aveva dovuto arrangiarsi. Barakat si era rivolto ad un'agenzia per il lavoro interinale e grazie ad essa aveva trovato lavoro come addetto presso il Consorzio incaricato dalla Save delle pulizie dello scalo di Tessera e degli aerei. Aveva cominciato il nuovo lavoro il 2 settembre scorso, ma era durato appena una settimana perché dieci giorni dopo la polizia scoprì che Barakat ogni giorno entrava e usciva dall'aeroporto. Quindi è stato rispedito a casa.
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