Residenza Venezia, l’ipotesi di una denuncia collettiva: «Chiarezza sui decessi»

Marghera, i familiari delle vittime di Coronavirus: «Troppi contagi nella struttura, dubbi sulla gestione dell’emergenza tra gli ospiti»

MARGHERA. «Voglio vederci chiaro, io come tanti altri famigliari delle persone decedute, e non escludo di intentare una causa contro la struttura, meglio ancora se collettiva. Ma soprattutto voglio vedere la cartella clinica di mio padre, e infatti ho già mandato la richiesta ufficiale».

Luca Andreacchio, il figlio di Pasqualino Geraldo Andreacchio, morto lunedì pomeriggio all’ospedale Covid di Dolo dopo aver contratto il virus all’interno della Residenza Venezia di Marghera, chiede giustizia. Due settimane fa il ricovero all’ospedale di Dolo del medico 73enne, che si era aggravato quando era ospite della struttura.

«Ci sono delle responsabilità, non possono pensare che una persona si ammali in una struttura che dovrebbe essere un luogo sicuro, è evidente che ci sono state delle mancanze per prevenire quanto accaduto».

Oggi Residenza Venezia ha il più alto numero di contagiati tra gli ospiti di tutte le altre Rsa della città metropolitana. Settantacinque sono i positivi, come riferisce la stessa Orpea, la società che gestisce la Rsa di Catene. I morti sono 9, perché un’ospite deceduta ieri, che aveva tutti i sintomi e si sospettava contagiata, sarebbe risultata negativa al primo tampone.

Nelle scorse ore il servizio igiene dell’Usl 3 Serenissima è tornato in residenza, e ha fatto il tampone a tutti gli anziani. La speranza della struttura, è che essendo passate due settimane, gli esiti siano cambiati e i residenti si siano negativizzati. Anche molta parte degli operatori è positiva, a casa, in infortunio, o ricoverata. Il figlio del dottor Andreacchio è provato dal dolore: «Siamo in parecchi ad avere delle perplessità sulla gestione dell’emergenza, e i dati parlano chiaro».

A raccontare alla Nuova il timore e la rabbia, è un’altra parente con un famigliare in ospedale, ricoverato due settimane fa esatte: «Da 26 febbraio ci hanno impedito di entrare in casa di riposo», spiega la famiglia «sentivamo sempre nostra madre egualmente, al cellulare, due volte al giorno in media. Rispondeva da sola, ci chiamava. Ma due settimane fa era strana, diversa. Poi abbiamo avuto difficoltà a contattarla e tra giovedì e venerdì è stata male, ha avuto problemi di respirazione. Così ci hanno chiamato e ci hanno detto che l’avrebbero ricoverata in ospedale».

Raccontano ancora: «Ci hanno sempre detto che era tutto sotto controllo, che andava tutto bene, ma di fatto noi non potevamo entrare e quindi le notizie ricevute sono sempre state filtrate e dosate. Adesso vorremmo sapere se hanno isolato subito i positivi, come hanno affrontato il problema, vorremmo capire di più sull'origine del contagio e se ci siano delle responsabilità».

Aggiunge: «La speranza è che nostra madre ne esca, questo è il primo pensiero, in ogni caso vogliamo vederci chiaro. Come facciamo a sapere se sono state seguite le indicazioni? Diversi di noi vorrebbero muoversi con un’azione legale, ma dev’essere collettiva, per avere più forza».

Chiude: «In ospedale si stanno prendendo cura di lei e le stanno somministrando un nuovo farmaco, nella speranza che la aiuti a reagire». Giovedì il direttore dei Servizi socio-sanitari, Gianfranco Pozzobon, dovrebbe incontrare assieme alla direttrice una rappresentanza dei famigliari della Residenza, nella sede degli uffici amministrativi Usl di via Don Tosatto. —


 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia