Resa dei conti nel Pd, Rosteghin si dimette
VENEZIA. Dimissioni. Nessuno le ha ancora chieste ufficialmente, e da Roma tutto tace, anche se qualcuno già parla di possibile «commissariamento» del Pd lagunare. Ma il segretario comunale del Pd Emanuele Rosteghin le ha già firmate, e le presenterà oggi alla direzione comunale del partito. Marco Stradiotto, segretario provinciale, annuncia un congresso straordinario per ottobre. Primi contraccolpi della grande botta arrivata con i dati del ballottaggio di domenica. Sconfitta per Felice Casson, candidato del centrosinistra uscito vincitore dalle primarie, vincitore al primo turno, superato al ballottaggio da Luigi Brugnaro. Sconfitta storica soprattutto per il Pd, che lascia dopo 23 anni di governo ininterrotto. Anche quando nel 2005 Massimo Cacciari con i voti della destra riuscì a superare Felice Casson, allora appena entrato in politica. I Ds vennero recuperati in molti incarichi di sottogoverno, alcuni fatti parlamentari, altri presidenti di aziende. Stavolta non sarà così.
Il Pd veneziano si appresta a lasciare il governo della città e delle aziende che controllava da molto tempo. Discesa traumatica dal 45% di voti alle Europee e dal sogno renziano a un misero 17%. Che con la sconfitta di domenica garantisce all’ex primo partito della città tre soli consiglieri invece della doppia cifra assicurata fino a ieri. Un sistema che crolla. I motivi sono tanti. Dallo scandalo del Mose, addossato (ingiustamente) al Pd veneziano. Alla voglia di cambiamento, ai veleni interni tra le varie componenti di un partito renziano governato in laguna da una maggioranza bersaniana.
«Sicuramente è una sconfitta storica per il centrosinistra veneziano», ammette sconsolato il segretario provinciale del partito Marco Stradiotto, «dipende da tanti fattori, dobbiamo evitare adesso di dare ognuno la colpa agli altri. Dobbiamo pensarci e ripartire».
Ma di chi è la sconfitta? Il Pd ha fatto una campagna poco convinta per sostenere un candidato che non voleva e che pure aveva vinto le primarie? «No, certo che abbiamo mandato forse in ritardo i messaggi al mondo di centro. Anche la lista civica di Casson non ha recuperato al centro, dopo l’uscita dell’Udc e soprattutto di Simone Venturini, una vera macchina da guerra delle prefernze. È passato un messaggio che era una lista in qualche modo sovrapponibile alla nostra».
Qualcuno ha gioito per la sconfitta di Casson? «Non credo, anche se qualcuno non lo ha votato, è vero. Paolo Costa ad esempio. Ma cosa occorreva mettergli le dita negli occhi in campagna elettorale?» Problemi di mancata comunicazione e di scarsa convinzione da parte del Pd. Il tam tam che poteva anche non andare bene si era diffuso in alcuni circoli già all’indomani dell’esito del primo turno.
«Io mi dimetterò nelle prossime ore», dice Rosteghin, ancora in forse nel suo ingresso in Consiglio comunale perché quarto dei votati nella lista Pd, «le ragioni della sconfitta sono tante adesso le dobbiamo analizzare. E ripartire, dai problemi della gente».
Ma i lunghi coltelli sono pronti a spuntare. Nel Pd gli scontenti superano i rassegnati, le divisioni come sempre si moltiplicano. Renziani della prima e seconda ora, bersaniani ancora in maggioranza anche se sull’orlo della scissione, cassoniani arrabbiati per il «tradimento». La resa dei conti già nelle prossime ore. E poi, in autunno, il congresso straordinario già convocato dal segretario provinciale del partito.
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