«Regolamento dei beni comuni» Un’arma per il riuso di edifici
La camminata di sabato scorso a Marghera ha consentito agli architetti del gruppo G124 di Renzo Piano di lanciare l’idea al Comune di Venezia di adottare un “regolamento dei beni comuni” per l’utilizzo di spazi pubblici o privati ad uso pubblico con la collaborazione dei cittadini.
Una idea che in altre città, da Bologna a Trento, si è già concretizzata. Secondo i calcoli di “Labsus”, il laboratorio della sussidiarietà che sostiene questi regolamenti e ha svolto nel 2015 il primo censimento dei “patti per i beni comuni” in Italia, sono attivi in 65 Comuni mentre altri 82 lo stanno adottando. Lo strumento, che si basa sul principio della sussidiarietà, previsto dalla Costituzione, potrebbe tornare molto utile anche nella nostra città, per far rivivere luoghi, giardini e spazi oggi in disuso. Gli esempi non mancano. Si potrebbe stringere un patto tra cittadinanza e comitati per far rivivere i padiglioni dell’ex Umberto I, che da dicembre passeranno al Comune: se per l’ex padiglione De Zottis da tempo c’è un progetto per farne la nuova sede della scuola Vecellio, la più centrale di Mestre, per gli altri padiglioni, come il Pozzan, non ci sono idee di riuso. E in questi mesi tante associazioni hanno bussato al Comune per chiedere uno spazio in affitto dove svolgere le proprie attività.
Oppure c’è il caso dell’ex scuola De Amicis a fianco della torre di Mestre. Indicata come la sede della “casa” della storia di Mestre non se ne è fatto nulla o ora qualcuno pensa di metterla in vendita. E invece l’idea del museo potrebbe concretizzarsi con un patto, regolamento dalle norme sui beni comuni che gli architetti di Piano hanno indicato al Comune, come soluzione da adottare per rivitalizzare l’ex istituto Edison Volta di via Mameli che è abbandonato da dieci anni e potrebbe diventare, dicono dal G124, un polo di rivitalizzazione giovanile oppure, ancora, per assegnare all’associazione “Nino Bocolo” l’ex scuola San Francesco d’Assisi, tra le vie Rinascita e Cafasso a Marghera, per farne una scuola di musica. I cittadini dell’associazione sono pronti a pagare le spese di ristrutturazione ma il Comune finora non risponde.
Il regolamento va a normare la collaborazione tra amministrazione comunale e cittadini per la «cura e la rigenerazione di beni comuni urbani», si legge nel testo adottato da Bologna che in questo senso sta facendo da capofila. A Bergamo con i patti stanno normando la rinascita di 15 luoghi da valorizzare. Ad Aquilonia, nell’Avellinese, è nato un museo etnografico partecipato. Ad Arezzo con questo sistema si vuole valorizzare un parco fluviale. A Bologna i cittadini danno una mano in parchi e spazi degradati, assieme agli scout, anche contro i graffiti che deturpano i muri. Come fa a Venezia l’associazione “Masegni e Nizioleti”. Nel regolamento, si legge, si norma la gestione condivisa, si prevede anche l’autofinanziamento, si prevedono esenzioni dei tributi per le attività che nascono dalla fantasia dei cittadini.
A Venezia non si arriva impreparati a questa discussione che gli architetti di Piano vorrebbero portare in consiglio comunale: ci sono esperienze di società che hanno investito soldi per sistemare palestre e piscine, ottenendo in cambio convenzioni più lunghe per l’utilizzo. L’idea del patto per i beni comuni non è poi così diversa anche se i valori economici in gioco potrebbero risultare diversi. A Mestre ci sono state esperienze di adozione di aiuole da parte di commercianti e cittadini si sono offerti per piccoli lavori di manutenzione all’Istituzione bosco e grandi parchi. Si tratta semmai di farlo diventare un sistema condiviso dalla città.
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