«Referendum prova di democrazia»

Il costituzionalista Bertolissi: è un punto d’arrivo dopo 25 anni di silenzio e disprezzo per le istanze del territorio
«Non ho mai fatto magliette, e non mi permetterei di parlare di magliette». Nella chiesa della Santissima Trinità – detta dei Rossi – di Chioggia, in apertura del dibattito sul referendum per l’autonomia del 22 ottobre promosso dal Centro Studi sulle istituzioni Livio Paladin, irrompono le dichiarazioni di Luciano Benetton: «Il referendum? Una stupidaggine». Mario Bertolissi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova, risponde con passione, perché dice di essere «stufo di giustificare con l’eleganza quello che penso nel profondo». Il cammino che porta a questo referendum e di cui Bertolissi è stato protagonista arriva da lontano - racconta il docente davanti a duecento persone - perché non è vero che il Veneto non abbia mai bussato alle porte di Roma per chiedere più autonomia, non è vero che è una stupidaggine.


«Ci sono stati 25 anni di silenzio e disprezzo rispetto alle istanze che sono state formulate dal territorio», ricorda Bertolissi, spiegando come «la democrazia rappresentativa collassa se non c’è un correttivo della democrazia diretta» soprattutto in un contesto in cui quasi un italiano su due ritiene che non ci sia un legame tra democrazia e partiti, e lo stato di salute delle istituzioni non sia delle migliori. Ma basterà un referendum per invertire la rotta? «Il referendum rimette il voto nelle mani dei cittadini», riflette Bertolissi. E si sbaglierebbe a pensare che, essendo consultivo, non ci saranno conseguenze. «Consultivo non vuol dire che vale poco, il referendum rappresenta una spinta in termini di indirizzo politico più forte di qualsiasi referendum approvativo o abrogativo». Chiaro che, se vincerà il no o l’astensionismo «a Roma si divertiranno un mondo, se vince il no è finita». Ma se vince il sì «comincia la fase del dialogo».


Un percorso difficile, impegnativo - è la riflessione del costituzionalista - ma con le spalle coperte da un voto popolare che manifesta la richiesta di più solidarietà, vicinanza ed eguaglianza. Con alcuni paletti. Perché se da un lato «le regioni a statuto speciale non hanno più senso di esistere perché non c’è una specialità che dura per sempre», dice Bertolissi rispondendo alle domande, «nessuno ha intenzione di mettere a rischio la solidarietà nazionale, collante dello Stato. Però è legittimo porre il problema», in un contesto di frustrazione sociale in cui la globalizzazione - è convinto Bertolissi - ha tradito molte promesse e il cedimento dello stato sociale provoca l’insoddisfazione. Ma non ci sarà alla base di questa richiesta di autonomia la presunzione che “noi veneti” siamo più bravi a governare? E lo scandalo Mose? E le Popolari? «Una vergogna assoluta, anche per la mancanza di reattività», risponde Bertolissi, «che dimostra un cedimento strutturale delle coscienze, non circola l’indignazione. Questo conta, e conterà a Roma. Ma sono argomenti che non fanno diventare ingiusto ciò che invece è giusto». Partiti divisi alla meta del 22 ottobre.


Il Pd, per esempio, è per il ni. Ma è per il sì senza esitazioni Lucio Tiozzo, vice segretario regionale del partito. «Sono per l’autonomia in un paese unito e solidale, il quesito sta dentro il dettato costituzionale ed è pilatesco l’atteggiamento di chi dice non andare a votare». Ma attenzione: «Se abbiamo perso tanto tempo in questi anni è perché qualcuno, la Lega, aveva in testa l’indipendenza, la secessione, la Padania e non l’autonomia». Autonomia che - ha ricordato Carlo Alberto Tesserin, protagonista di questo percorso in Regione - è nel dna della Regione fin dalla sua nascita e di autonomia e autogoverno si parla nello statuto «che abbiamo votato all’unanimità». «Siamo l’unica regione a essere circondata da regioni a statuto speciale», la riflessione di Tesserin, «ed è per quello che abbiamo bisogno di una maggiore autonomia».


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