Rapina in villa, trafugata un’icona da 70mila euro

Spunta la pista dei ladri d’arte. Polizia e carabinieri indagano sulle auto in entrata e uscita dalla A4 e sulle tracce di fango

QUARTO D’ALTINO. Sono banditi intenditori d’arte quelli che la notte tra venerdì e sabato hanno legato e torturato Romeo e Lidia Pavan, i due coniugi residenti in via Sant’Eliodoro ad Altino. Dalla camera da letto della coppia, infatti, è sparita un’icona raffigurante una Madonna ortodossa acquistata a San Pietroburgo dall’imprenditore e pagata, oltre trent’anni fa, una bella cifra. Un oggetto antico, che un semplice ladro in cerca di contanti, non avrebbe certo portato via. E che potrebbe valere 60-70 mila euro, a detta di Pavan, a seconda di quanto un collezionista sarebbe disposto a pagare per averla.

Nel frattempo è caccia alla banda. La Squadra Mobile di Venezia assieme ai carabinieri, sta indagando sulla rapina in villa. La polizia sta cercando di risalire ai quattro malviventi dalle impronte di fango lasciate lungo la rete utilizzata per scavalcare la proprietà di Scarpa, il vicino dei Pavan. E che potrebbero portare ai banditi.

Ma allo stesso tempo gli investigatori stanno vagliando, ad esempio, le auto in entrata e uscita dal vicino casello autostradale dell’A4 e ancora analizzando le telecamere di videosorveglianza della zona che potrebbero aver immortalato macchine sospette o addirittura i rapinatori. Sicuramente l’assalto messo in atto è particolare e non segue uno schema preciso o già visto. Quel che è certo è che è stato studiato nel dettaglio molto tempo prima.

Chi ha agito, sapeva a che ora uscivano di casa i proprietari, quali erano le loro abitudini, dove andavano a cena. Erano, inoltre, a conoscenza del fatto che senza la disattivazione del sistema antifurto da parte dei coniugi, non avrebbero potuto entrare in azione. Qualche errore, però, possono averlo commesso.

«È gente dell’Est», spiega Gianni Isaia, il figlio di Romeo Pavan, «che sa quanto vale un pezzo di legno. Nel garage ci sono auto di lusso, ma evidentemente non gli interessavano». «L’icona», racconta Pavan, «era appesa sopra un comodino, l’avevo presa a San Pietroburgo molti anni fa, un capriccio. Hanno preso quella e non armi e fucili». Erano stranieri o fingevano? «Conosco un po’ di slovacco, che fossero bulgari, ungheresi, quel che è, si parlavano nella loro lingua». Hanno preso anche qualche gioiello e monile della moglie, Lidia, poca cosa. «Potevano portare via molto di più», aggiunge. «Mentre mi perquisivano, mi dicevano “tu hai soldi perché hai la Porsche” e io gli spiegavo che non era mia, che era di mio figlio o del meccanico. Hanno giocato sulla velocità, si guardavano sempre l’orologio al polso». «La giustizia è lenta ma ci arriva», aggiunge il cognato, «siamo fiduciosi». «Non è facile», torna a ripetere Romeo Pavan, «io mi sono ripreso, ma mia moglie no. Aveva già paura prima, non dormiva mai da sola, quando andavo via per lavoro veniva un custode. Si può immaginare ora. Mentre ci torturavano le dicevo “pensa ad altro, immagina di stare ballando, non sprecare le forze”. Adesso dorme altrove, per un po’ non tornerà».

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