Ragazzo morto in carcere, denuncia del difensore civico

Stefano Borriello era deceduto in ospedale trasportato d'urgenza dalla prigione. I parenti vogliono conoscere la verità
L'interno del carcere e nel riquadro Stefano Borriello
L'interno del carcere e nel riquadro Stefano Borriello

PORTOGRUARO. Denuncia del difensore civico di Antigone, Simona Filippi. A più di tre mesi dalla morte di Stefano Borriello, avvenuta dopo che lui era detenuto al carcere Castello di Pordenone, ancora non si conoscono le cause cliniche del decesso. Il 7 agosto 2015, Stefano Borriello, il giovane di 29 anni di Portogruaro, viene trasportato dal carcere di Pordenone in condizioni molto gravi all’ospedale cittadino e lì, poco dopo l’arrivo, muore “per arresto cardiaco”. Da subito, la madre di Stefano chiede con fermezza quali siano le ragioni del decesso del figlio, che è sempre stato in ottime condizioni di salute mentre la Procura apre un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo.

Sembra che Stefano stesse male già da qualche giorno prima della morte. In questi mesi, il difensore civico dell’associazione ha seguito il caso con molta determinazione. Dalla visita effettuata dagli osservatori dell’associazione, è emerso che all’interno del carcere di Pordenone il servizio medico non è garantito h24 ma soltanto sino alle ore 21, e che esiste un’ unica infermeria per tutto il carcere. Poi, fatto che crea sconcerto, non ci sono i defibrillatori. Ad oggi, trascorsi più di tre mesi da questa morte misteriosa ancora non se ne conoscono le cause: i periti nominati dalla Procura per riferire in merito alle “cause della morte” e a “eventuali lesioni interne o esterne”, ancora non hanno consegnato la relazione. La famiglia di Stefano vuole la verità. Le ragioni della morte di Stefano sono ad oggi assolutamente incomprensibili. Ancora un altro grande dolore per i genitori e per i parenti che gli volevano bene. Nonostante Stefano avesse incontrato più di un ostacolo in vita sua. Poco prima di morire, patendo duramente il regime carcerario, si era confidato a un prete, consegnandogli anche delle poesie. Il cibo che aveva ricevuto lo aveva diviso coi compagni di cella. Il difensore civico insiste, con tutta la forza di chi da anni segue casi di persone morte all’interno delle carceri.

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia