Racconta in un libro la malattia della moglie: scelto per il Campiello

La donna morì dopo lo stop a un farmaco alternativo. Il marito, Lino Berton, nell’opera racconta il calvario nella sanità pubblica

SCORZE'. La scoperta della malattia, la voglia di farcela, la speranza, un giorno, che qualcuno riconosca di aver sbagliato. E poi il coraggio e il dolore. E comunque la voglia di giustizia, il desiderio di sapere se fu fatto dai medici tutto il possibile per salvarla e per consentire la possibilità di farcela.

Lino Berton ha 44 anni, si divide tra Mestre, dove lavora, e Gardigiano, dove abita: otto anni fa, il 6 aprile 2007, ha perso la moglie 38enne Sandra Coral. Le sofferenze, le emozioni e tutto quello che la vita gli ha messo davanti in quegli undici mesi, da quando la coppia ha scoperto la malattia sino alla morte di lei, le ha volute raccontare in un romanzo, edito da Amos e dal titolo «Qualcosa che non muore». Il testo è uscito un anno fa ed è in corsa al Premio Campiello di Venezia del 2015. La storia di Lino e Sandra parte il 5 maggio 2006, giorno in cui venne diagnosticata la malattia: linfoma linfoblastico. Siamo a Mestre, vecchio ospedale Umberto I, dove iniziarono le prime cure. Dopo nove mesi di cure a Mestre, un periodo a Bologna, dove risultò positiva all’epatite B, giunse il trasferimento a Genova, dove la donna fu sottoposta a una cura sperimentale di Forodesina, prodotto dalla casa farmaceutica americana Biocryst e usato come “salvavita”.

Il 23 marzo 2007 l’azienda decise di sospendere la somministrazione endovenosa a scopo cautelativo: dopo due settimane di terapia, delle sei previste, Sandra morì tra le braccia del marito. Un po’ per sfogo, un po’ per rielaborare, Berton iniziò a buttare giù pensieri su pensieri che in due anni arrivarono a mille pagine: è la base di quello che diverrà il suo futuro libro. «Ci ho impiegato sette anni», racconta l’uomo, «dove mettevo da parte un pensiero al giorno. Racconto il senso di smarrimento, partito dopo il ricovero di Mestre, e proseguito fino al decesso. Da quel maggio 2006 ho perso la fiducia nelle istituzioni, nella sanità. Mi piacerebbe avere giustizia un giorno e sapere se qualcuno ha sbagliato e se a mia moglie sono stati tolti una possibilità di vivere, una speranza. Nel libro non si fanno riferimenti a medici o situazioni particolari ma Berton sa cos’ha provato durante la malattia della donna e gli anni successivi. «Ho raccontato una storia emblematica», continua, «cosa può creare la malasanità. La casa farmaceutica ha interrotto la cura senza fornirci alcuna spiegazione; solo due pazienti, a livello mondiale, sono stati curati con la Forodesina e sono ancora in vita, altrimenti è stata fornita a livello sperimentale. Per il linfoma linfoblastico si usano farmaci per curare la leucemia acuta». Lino Berton porta avanti la sua battaglia giorno dopo giorno: s’informa, legge giornali e siti, scarica materiale, lo archivia. Nel libro si pone delle domande, molte se le farebbe anche un cittadino qualsiasi che in casa non ha avuto una tragedia simile. «I medici spesso non comunicano tra loro», rileva Berton, «e spesso si boicottano le cure alternative». Intanto Sandra non c’è più e suoi interrogativi rimangono.

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