Quattro agenti picchiatori condannati per «abuso della loro autorità»

A Venezia nel 2009 era nato uno scontro con due giovani dopo un’incomprensione. Le motivazioni della sentenza  di condanna dei poliziotti accusati di lesioni contro Tommaso e Nicolò De Michiel
AGOSTINI VENEZIA 04.04.2009.- PICCHIATI DALLLA POLIZIA. CONF. CAMPO S. MARGHERITA. DA SX NICCOLO' DE MICHIEL, TOMMASO DE MICHIEL.- INTERPRESS
AGOSTINI VENEZIA 04.04.2009.- PICCHIATI DALLLA POLIZIA. CONF. CAMPO S. MARGHERITA. DA SX NICCOLO' DE MICHIEL, TOMMASO DE MICHIEL.- INTERPRESS

VENEZIA. «Gli imputati erano certamente consapevoli di abusare della loro autorità e di violare i doveri e i limiti nell’uso della forza che sono posti dalla legge a tutela del cittadino, come dimostrato dalle pretestuose e false finalità da essi rappresentate a loro giustificazione: impedire che il giovane si impadronisse della mitraglietta o si gettasse in acqua, o difendersi dai calci inferti».

E poche righe più sopra: «Si ravvisa l’abuso dei poteri inerenti la pubblica funzione rivestita». Così la giudice monocratica Sonia Bello ha motivato la condanna, pronunciata a dicembre a carico di quattro poliziotti nel 2009 in servizio a Santa Chiara, accusati di lesioni aggravate nei confronti dei fratelli Tommaso e Nicolò De Michiel, prima durante un controllo in calle e poi in Questura: 3 anni e 3 mesi ciascuno per Roberto Bressan, veneziano classe 1965, Raffaele Boccia, mestrino di 44 anni, e Marco Cristiano, triestino classe 1982; 3 anni e 6 mesi per Guerino Paolilli, romano di 46 anni, responsabile di aver sferrato un calcio sui testicoli a Tommaso De Michiel durante le procedure di identificazione in Questura.

Condanne, queste, che avevano stravolto le richieste del pm Massimo Michelozzi, il quale aveva chiesto sei mesi solo per Paolilli. I 13 anni e 3 mesi comminati ai quattro imputati sono basati, scrive la giudice nelle motivazioni, sulla «peculiare gravità dei fatti, sia in relazione alle qualità di pubblici ufficiali degli imputati, che all’entità delle reiterate violenze».

All’origine dello scontro, osserva la giudice, «una banale incomprensione tra i due ragazzi e i poliziotti in ordine all’identificazione di Tommaso De Michiel». Molto valorizzata la testimonianza di una residente in fondamenta dei Cereri che quella notte aveva visto. La donna è stata sentita in aula, ma le sue parole erano state acquisite pochi giorni dopo il fatto dall’avvocato Federico Guerriero, legale dei De Michiel, nell’ambito delle indagini difensive, mettendole a disposizione della Procura.

Valorizzato dalla giudice anche il racconto di Tommaso De Michiel che trova riscontro in quanto dichiarato dal fratello, dalla residente e dalla documentazione medica e fotografica. Le lesioni in varie parti del corpo riportate da Tommaso, secondo la giudice, non sono compatibili con una caduta accidentale del ragazzo mentre montava in barca, come sostenuto dalle difese: «Nessuna certificazione medica rileva esiti da caduta, né può ritenersi plausibile che una caduta produca lesioni in parti così disparate del corpo, mancando però lesioni alle ginocchia e ai palmi delle mani».

Un passaggio delle motivazioni è riservato al capo pattuglia Bressan «che ben avrebbe potuto gestire quella assai banale situazione, anche ad ipotizzare che Tommaso fosse in stato di ebbrezza, senza che si facesse uso di mezzi di coercizione e di violenza. Non vi è alcuna ragionevole spiegazione perché egli abbia tollerato e omesso di impedire che i suoi sottoposti facessero uso gratuito della forza nei confronti di uno studente di 23 anni. Tale omissione non può certo ascriversi a un’errata valutazione della situazione come proposto dal pm».

Quanto alle accuse di resistenza a pubblico ufficiale a carico dei fratelli De Michiel, scrive la giudice che «risultano infondate in quanto è evidente che se hanno in qualche modo reagito per difendersi dall’aggressione subìta, la loro condotta deve essere ascritta alla scriminante della legittima difesa». In relazione all’accusa di diffamazione a carico dei fratelli.

«Le dichiarazioni degli imputati sono giustificate in quanto si riferivano a un fatto rilevante per la collettività, considerato che l’aggressione gratuita di due giovani da parte dei pubblici ufficiali della polizia di Stato è un fatto di sicuro interesse pubblico». E di «legittimo esercizio del diritto di critica» parla anche in relazione all’accusa di diffamazione a carico di Walter De Michiel, padre dei ragazzi.

La madre di Tommaso e Nicolò, a processo per minacce (avrebbe detto ai poliziotti che li avrebbe denunciati e che gliela avrebbe fatta pagare), secondo la giudice ha esercitato un proprio diritto: «Non costituisce male ingiusto l’intento di dar corso ad azioni legali in relazione a condotte che ella reputava illecite». Ora gli avvocati dei poliziotti potranno impugnare la sentenza in appello.

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