Quasi tre anni al carabiniere infedele
CHIOGGIA. Condanna pesante per l’appuntato dei carabinieri infedele in servizio a Piove di Sacco, il 43enne Nicola Marcato, accusato di corruzione e violazione del segreto d’ufficio. Accogliendo le tesi dell’accusa portate avanti dal pubblico ministero Stefano Ancilotto, il Tribunale di Venezia presieduto dal giudice Stefano Manduzio ha condannato il militare a due anni e dieci mesi di reclusione, mentre ha condannato a due anni e 4 mesi i due esponenti della malavita del Brenta - il 37enne Paolo Mosco e il 30enne Alessandro Borino - accusati di averlo corrotto per ottenere informazioni sulle indagini che gli investigatori dell’Arma di Chioggia stavano conducendo sulla banda che all’epoca imperversava con i colpi ai bancomat degli istituti di credito.
Il rappresentante della Procura ne aveva chiesto la condanna, mentre i difensori, gli avvocati Pola Rubini, Franco Capuzzo e Capraro si erano battuti per l’assoluzione dei tre imputati. Marcato era sospettato di aver fornito informazioni importanti ai due, tanto che un'indagine su alcune rapine compiute ai danni dei bancomat della Riviera del Brenta fatti saltare col gas sarebbe fallita. È dal febbraio del 2010 che gli investigatori dell'Arma tenevano d'occhio Mosco, Borino e altri appartenenti alla banda. A indicare alcuni dei loro nomi un confidente, ritenuto molto attendibile, di un sottufficiale dei carabinieri. Il sospetto sul conto di Marcato del pm Ancilotto, che ne aveva chiesto anche l'arresto ottenendo un provvedimento di obbligo di dimora, riguardava il fatto che l’appuntato avrebbe rivelato a Mosco e Borino che tra loro c'era una «talpa» e che sull'auto di Mosco era stato piazzato un segnalatore gps (l'imputato dopo la rivelazione l'aveva distrutto). Il carabiniere, in cambio, avrebbe ottenuto cento euro in contanti e due telefonini. Il maresciallo, testimoniando in aula, aveva spiegato che il confidente era stato gestito soltanto da lui, che quando lo incontrava redigeva una relazione sul contenuto del colloquio al suo superiore, al quale, avrebbe rivelato anche l'identità, ma solo a voce.
Il sottufficiale aveva raccontato che durante gli incontri con gli altri colleghi che si occupavano della stessa indagine aveva per ovvi motivi svelato alcuni particolari della sua vita, quale ambiente frequentava, i motivi dei suoi contatti con chi si trovava sotto controllo, particolari che potrebbero aver aiutato a identificare l'identità del confidente anche senza conoscerne il nome.
Giorgio Cecchetti
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia