Quando gli industriali scoprirono il bisogno dell’impegno culturale

Furio Cicogna e Mario Valeri Manera puntarono su un’idea vincente: affiancare critica e pubblico Quella prima serata alla Cini, gli invitati trattenuti con l’inganno e la vittoria di Levi con “La tregua”

VENEZIA. All’origine del Campiello ci sono due personaggi diversi tra loro ma convinti che l’industria italiana, in pieno boom economico, dovesse farsi carico anche di una politica culturale. Il Campiello nacque nell’ufficio di Furio Cicogna, allora presidente di Confindustria, uomo convinto che il diminuito peso politico del mondo industriale derivasse anche dalla scarsa capacità di incidere culturalmente. A fianco a lui c’era Mario Valeri Manera, avvocato veneziano, molti incarichi e solide relazioni politiche, l’uomo giusto per avviare questa nuova esperienza e radicarla in una città, Venezia, che facesse da sfondo adeguato a una iniziativa che voleva dare visibilità al mondo industriale.

Messa in moto la macchina fu Valeri Manera, a capo degli industriali veneziani, a farla viaggiare con successo, grazie a due intuizioni vincenti. La prima fu economica. Esistevano allora premi prestigiosi ma economicamente fragili. Il Campiello poteva contare su un appeal economico indiscutibile: cinque milioni a ogni finalista.

La seconda fu quella di usare due giurie, una di letterati e una di lettori comuni. La motivazione era duplice. Sul piano dei libri può valere la spiegazione ufficiale data da Bonaventura Tecchi, germanista di stanza all’Università di Padova e presidente della giuria nelle prime cinque edizioni. Un libro per durare, diceva Tecchi, citando Goethe e Leopardi, deve piacere ai critici e deve piacere al pubblico. Se piace solo agli uni o agli altri è destinato a all’oblio. Dunque la giuria dei letterati per segnalare il gradimento critico, quella dei lettori per sancire la popolarità.

Sul versante della politica culturale la doppia giuria serviva a contrastare il monopolio dei premi letterari, allora tutti in mano agli scrittori e quindi, nell’ottica confindustriale a una consorteria ristretta che «non garantiva libertà di scelta». C’era anche un intento politico? Non direttamente, a parole, ma a leggerle bene - le parole - si capisce che l’idea era anche quella di contrastare una certa egemonia culturale della sinistra. Quanto al nome, Campiello, l’idea venne ad Edilio Rusconi, allora non ancora editore. Si trattava di rendere con una sola parola la venezianità del premio e il suo fondarsi sulla pubblica discussione.

Al momento di comporre la giuria tecnica la scelta fu quella di contenere il numero dei membri (una decina con qualche oscillazione) e di cambiare poche pedine alla volta, in modo da avere continuità tra un anno e l’altro. Personalità come Cibotto (37 volte) risulteranno quasi fisse.

L’inizio fu in sordina. Sede prescelta l’Isola di san Giorgio e la Fondazione Cini, per privilegiare l’aspetto intellettuale. Leggenda vuole che il pubblico della prima serata fu in pratica sequestrato da Mario Valeri Manera, che dopo un concerto di musica classica estraneo al Campiello fece diramare la notizia che non c’erano vaporetti per un’ora e tanto valeva, allora, assistere alla consegna di un premio letterario. A vincere fu Primo Levi, non ancora scrittore osannato, con “La tregua”. Dall’anno successivo il premio prende forza. Si sviluppa il côté mondano, vince Giuseppe Berto con “Il male oscuro. Ma ancora bisogna vedere l’impatto commerciale del premio, per il momento considerato inferiore non solo allo Strega, ma anche al Viareggio e al Bagutta. Il buon successo di vendite negli anni successivi dei libri vincitori, aumenta il peso specifico del premio, e si comincia a parlare di industria culturale.

Negli anni Settanta un Campiello, che nel frattempo si è trasferito prima al Teatro Verde sempre a San Giorgio e poi a Palazzo Ducale, vale 100 mila copie. Contemporaneamente le serate diventano più scintillanti, le madrine sono Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida, Monica Vitti. E anche i ministri si fanno vedere volentieri. Il legame con il mondo industriale veneto si rafforza: gli industriali - racconta Cibotto - per Natale regalano le copie del libro vincitore. Nel frattempo declinano premi storici, prima il Bagutta, poi anche il Viareggio. Il Campiello di rafforza con pochi mutamenti. Nel 1994 si aggiunge il Campiello giovani, riservato agli studenti tra i 15 e i 22 anni. Nel 2004 è il momento del Campiello opera prima. Nel 2006 il Campiello Europa. Nel 2010 il premio Fondazione Campiello con Fruttero come primo vincitore. Anche la giuria cambia: dall’83 non è più guidata da un letterato e negli anni Novanta i letterati vengono sempre più affiancati da intellettuali non specialisti. È il nuovo corso.

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