«Profughi, il Patriarca ha ragione bisogna fare di più per ospitarli»
La lettera del patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che invita i parroci e i rettori delle chiese ad impegnarsi concretamente nell’accoglienza di profughi e migranti e nella diffusione di una cultura della solidarietà, verrà letta domani in tutte le chiese della Diocesi durante la messa domenicale. Un modo per sensibilizzare non solo i sacerdoti, ma tutta la comunità. Moraglia sottolinea la drammaticità della situazione e le proporzioni epocali del fenomeno. «La fotografia del piccolo Aylan che ha scosso le coscienze e lo ritrae sdraiato sul bagnasciuga, col volto rivolto alle onde di quel mare che poco prima lo aveva inghiottito, non ci racconta un caso isolato», si legge nella lettera. «Il ringraziamento per quanto fate è forte come è forte la richiesta di crescere ulteriormente nell’impegno, coordinando sul territorio interventi concreti volti a suscitare sempre più una cultura della solidarietà e dell’accoglienza nel rispetto della persona. L’urgenza chiede tempismo e concretezza, guardando alla realtà quotidiana nella quale viviamo. Esorto quindi a percorrere questa strada di concretezza, collaborando con tutti coloro che vivono sul territorio».
«Questo messaggio cade in un momento che non poteva essere più opportuno», spiega il parroco della Cita, don Nandino Capovilla, «perché non facciamo abbastanza: bisogna trovare soluzioni concrete. Oggi (ieri ndr) accolgo nel quartiere alcuni rifugiati, nello specifico tre nigeriani, e spero che non accada quanto successo ad agosto, perché noi dobbiamo andare contro il rifiuto della gente e soprattutto quello dei credenti che si ritengono tali e vanno a messa la domenica. Essere cristiani in questo contesto è una discriminante, uno spartiacque: se sei cristiano accogli, altrimenti se rifiuti il tuo prossimo, domandati se puoi fare la comunione la domenica».
Alla Cita ad agosto erano arrivati cinque profughi, adesso due se ne sono andati e ne sono arrivati tre di nuovi: «Il mio compito è accoglierli, aiutarli, farli sentire a casa, far sì che facciano quello che erano abituati a fare prima, andare a messa visto che sono credenti piuttosto che partecipare ai gruppi scout».
Il 14 settembre in parrocchia gli amministratori di condominio hanno organizzato un incontro pubblico per discutere la questione e don Nandino ha invitato un funzionario della Prefettura e gli operatori del Comune, per spiegare a tutti che non c’è nulla da temere, al contrario. «Qui da noi la differenza che c’è tra le varie etnie, è diventata bellezza, fatica ma bellezza, ci abbiamo messo del tempo ma abbiamo creato una comunità che accoglie e si integra».
Ecco perché quanto sta accadendo, al parroco della Cita non va giù. «Il Patriarca non ci chiede solo di predicare, non ci chiede buonismi, ci chiede concretezza. Se in ogni parrocchia si trovasse un appartamento, si potrebbe fare molto».
Anche don Enrico Torta, parroco di Dese, appoggia in pieno le parole del Patriarca: «Credo che la Chiesa faccia tanto e sia già in prima fila in questo senso. La questione dei profughi è delicata: l’Europa, l’Onu, il mondo intero devono prendere in mano il problema che è globale, perché queste masse si muoveranno sempre di più: il Patriarca fa bene ad invitarci ad esporci sempre di più».
«Cristo oggi», interviene don Gianni Fazzini, responsabile della Pastorale per gli Stili di vita, «è quel bambino morto sulla spiaggia per farci aprire gli occhi, per farci capire che possiamo fare qualcosa per i tanti come lui. Cosa? Cambiare il nostro modo di vivere, questo è il grido. Farla finita con una vita impostata sull’usa e getta che provoca guerre e in ultima analisi questa umanità in Via Crucis. ;Dovremmo avere il coraggio di vedere le cause per cui questa gente scappa. Non vedo una soluzione con il buonismo, bisogna avere il coraggio di dire quanto anche l’Italia e il Veneto stiano saccheggiando l’Africa, con tutte le materie prime che portiamo via, con la produzione di armi con al quale alimentiamo le guerre e manteniamo in vita i dittatori. La lettera stimola una riflessione: è necessaria una svolta economica che non sia quella basata solo sui consumi, una cambio di rotta che sarebbe servito quando le banche sono andate in crisi, nel 2008. Invece la gente ha pagato e l’economia è rimasta uguale, e adesso questi corpicini di bambini ci parlano e ci dicono che la nostra economia incentiva le guerre, la fuga e la morte. Dobbiamo rivedere i nostri comportamenti, Cristo oggi è questo bimbo sulla spiaggia che ci chiede di cambiare vita».
Marta Artico
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