Processo Mose. «Piva, soldi in contanti per la casa a Caorle»

Venezia, nuove contestazioni in aula all’ex Magistrato alle Acque: 60 mila euro nella busta della spesa. Lei: accuse assurde, pago il no a Mazzacurati
Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto Maria Giovanna Piva
Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto Maria Giovanna Piva

VENEZIA. Nelle case si nasconde la verità del Mose; nella villa in collina dell’ex governatore del Veneto e in quella al mare dell’ex presidente del Magistrato alle Acque, c’è la traccia delle tangenti sulle dighe mobili. Questa la ricostruzione della Procura di Venezia emersa dall’udienza di ieri, la prima dedicata alle deposizioni degli imputati. La dirigente del Mav Maria Giovanna Piva, l’architetto Danilo Turato, l’avvocato romano Corrado Crialese, accusati a vario titolo di essere parte del meccanismo corruttivo, sono sfilati davanti al collegio presieduto dal giudice Stefano Manduzio per spiegare la loro verità.

La casa al mare. Una grande disponibilità di denaro. Denaro contante che arrivava dallo stipendio extra di 400 mila euro all’anno pagato dal Cvn affinché Maria Giovanna Piva non facesse il suo lavoro di presidente del Magistrato alle Acque (carica ricoperta tra il 2001 e il 2008), insomma perché non controllasse. Questa, perlomeno, l’accusa. E il denaro era talmente copioso - secondo quanto prefigurato ieri in aula dal pm Stefano Ancilotto - che l’ingegnere si sarebbe presentata con 60 mila euro di banconote nascoste nella busta della spesa per pagare una parte della casa acquistata a Caorle, zona Casoni, dalla signora P.C. Si tratta di un immobile da 200 mila euro, intestato al figlio di Piva e di cui lei ha l’usufrutto.

Una circostanza nuova, quella emersa in aula, che rientra nell’ambito di una serie di accertamenti ancora in corso da parte della Guardia di Finanza. «Quella casa l’ho pagata con i soldi miei e con il contributo dei miei genitori», ha dichiarato Piva spiegando però di non ricordare né il prezzo, né la somma rogitata col notaio e, in ogni caso, di non aver mai avuto la disponibilità di somme in contanti se non quelle dello stipendio percepito col suo lavoro. Stipendio con cui avrebbe acquistato, oltre all’abitazione vicina al faro, anche un’altra casa per il figlio (a metà con l’ex marito) nel 2006 e l’appartamento in cui risiede, in via Cappuccina a Mestre nel 1995. La donna, rispondendo alle domande del suo legale, l’avvocato Emanuele Fragasso, ha affermato di non avere conti nascosti all’estero, né partecipazioni societarie e di disporre di una cassetta di sicurezza. E ha poi contestato tutte le accuse: «Accuse talmente assurde», ha detto, «che il giorno che mi hanno arrestata ero più preoccupata per Fiammetta, la mia gatta ammalata, che non per me».

«Screditata per il no a Mazzacurati». Ma allora perché altri indagati hanno sostenuto che era a busta paga di Mazzacurati e Baita? «Per farmi perdere credibilità», ha dichiarato Piva che ha aggiunto di aver pagato in questo modo il suo “no” al presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati; il suo stop alla scelta delle “cerniere fuse” per il collegamento tra i cassoni sommersi e le paratie mobili, decidendo di assegnare una consulenza metallurgica. «Dopo di allora mi hanno spostato a Bologna».

Le bozze in bianco. Quanto ai documenti in bianco con la sua firma trovati nella sede del Consorzio, l’ex presidente Mav ha spiegato che quella era - ed è ancora - la prassi; pratica instauratasi anche a causa della carenza di personale negli uffici pubblici. Siccome non c’erano abbastanza impiegati, è la sostanza, i documenti del Magistrato venivano preparati dal Cvn secondo la traccia data dal Mav che poi controllava le bozze e, se conformi alle indicazioni, dava il via libera.

I collaudi. Piva ha escluso incompatibilità sugli incarichi per i collaudi ricevuti dalla Regione. Quanto a quelli assegnati a personale della Regione nell’ambito del Mose, ha precisato che l’elenco dei nomi arrivava da Roma: «Il Ministero si ricordava di noi quando si trattava del Mose».

La villa di Cinto Euganeo. Dopo Piva sul banco degli imputati è salito l’architetto Danilo Turato, colui che la Mantovani avrebbe pagato per progetti e direzione lavori a Villa Rodella, per conto di Galan. Lui ha smentito, sostenendo di essere stato pagato con due bonifici, per un importo di 700 mila euro, fatti da Galatea (società dei Galan) e dalla ditta individuale “Al di là del Bisatto”.

Una somma irrisoria, secondo la Procura, a fronte di lavori su 1.500 metri quadri di villa e 12 mila metri di giardino, durati dal 2006 al 2009. «I lavori sono finiti a settembre del 2006», ha replicato Turato, «Era quella la scadenza fissata perché la moglie voleva la casa pronta per la festa di compleanno, il giorno 10». Festa a cui partecipò, tra gli altri, anche Silvio Berlusconi. Turato, che ha curato inoltre i lavori per la sede padovana della Mantovani, non ha più ricevuto incarichi dalla società dopo l’arresto di Baita e di Galan. E quest’ultimo tornerà in aula, stavolta come teste, chiamato proprio dall’architetto Turato.

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