Presi gli "sciacalli" che portavano via tutto agli anziani
Telefonavano dicendo che un figlio o un nipote avevano provocato un incidente e che dovevano versare dei soldi per non farlo andare in galera. Sono tutti napoletani. Molti colpi a Mestre, Spinea, Marghera, Scorzè e San Donà
MESTRE. Presi. E l’operazione che ha portato alla loro cattura non poteva avere nome più azzeccato: “Operazione Sciacallo”.
Perché solo delgi sciacalli potevano comportarsi come loro. Si presentavano come avvocati e marescialli dell'Arma dei carabinieri, in realtà erano truffatori che per bersaglio sceglievano persone anziane, ritenendole più facili da abbindolare intervenendo nel dirimere le questioni relative a presunti incidenti stradali causati da figli o nipoti. In due casi, a Mestre e Marghera, avevano portato via tutto alle vittime. In un caso, a Scorzè, erano sfuggiti per un pelo alla cattura.
Decine e decine le truffe messe a segno e tentate in quasi tutte le regioni italiane, ad eccezione della Campania e delle Isole, e che hanno fruttato all'associazione a delinquere centinaia di migliaia di euro, in quanto era possibile carpire ad ogni vittima denaro e gioielli per un valore che raggiungeva anche i 20.000 euro.
Adesso il cerchio è stato chiuso da polizia di Stato e Arma dei carabinieri che dalle prime ore di questa mattina hanno dato esecuzione a Napoli ad un provvedimento di custodia cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Frosinone, Ida Logoluso, su richiesta del pubblico ministero Barbara Trotta, della Procura della Repubblica di Frosinone, con l'arresto di 12 individui. Sciacalli, appunto.
Una tredicesima persona è stata deferita a piede libero. In particolare, le indagini, condotte dai poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Frosinone e dai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Frosinone, sono iniziate nel novembre 2015, quando i due uffici investigativi hanno raccolto nel giro di pochi giorni oltre 10 denunce di truffe consumate o tentate ai danni di anziani, in cui si evidenziava un medesimo modus operandi fondato sulla telefonata dal finto avvocato o finto sottufficiale dell'Arma al truffato di turno, telefonata c che segnalava un incidente stradale (ma non era vero) e che un familiare dell'anziano , quasi sempre un figlio o un nipote,era trattenuto in caserma.
Ovviamente si trattava solo di un racconto immaginario creato ad arte dai malviventi, infatti la chiamata proseguiva con la richiesta di denaro necessario a risarcire il danno causato dal finto incidente stradale paventando, in caso contrario, gravi conseguenze giudiziarie a carico del familiare.
Quando la truffa andava a segno, con la vittima che cedeva alla paura ingenerata dalla messinscena e con il conforto suscitato dalla "autorevolezza" del mestiere dichiarato dagli interlocutori, il fantomatico tutore dell'ordine, o - a seconda dei casi - il finto avvocato, concludeva il colloquio indicando alla vittima una persona che si sarebbe recata presso la sua abitazione per ritirare il risarcimento del danno, che spesso si concretizzava anche nella consegna di gioielli e preziosi in genere.
L'abilità nei raggiri era tale che i truffatori si dimostravano in grado anche di carpire, durante il colloquio telefonico, le informazioni, nome del familiare e altri dettagli, che poi utilizzavano per rafforzare la loro credibilità verso la malcapitata vittima.
Da queste denunce si sono poi sviluppate le indagini dei poliziotti e dei carabinieri che hanno consentito di dare un nome ed un volto a tutti i truffatori e sottoporli a specifiche ed intense attività di monitoraggio.
Gli investigatori hanno così scoperto l'esistenza di un vero e proprio sodalizio criminale nel quale uno dei componenti era specializzato nel chiamare telefonicamente le vittime, fingendosi avvocato o maresciallo dei carabinieri, a seconda dei casi. E quando la vittima cadeva nell'inganno, entravano in scena i complici addetti al ritiro del denaro o dei preziosi destinati al fantomatico risarcimento dei danni.
I malviventi avevano anche previsto una strutturata metodologia amministrativa che gli consentiva di evitare il pericolo di perdere o limitare i proventi illeciti, monetizzando immediatamente presso i 'compro oro' delle varie zone i preziosi carpiti alle vittime ed eseguendo, subito dopo, bonifici verso carte postali intestate ad altri complici così da massimizzare gli introiti e coprire le spese delle autovetture noleggiate ai loro scopi, del carburante, dei pedaggi autostradali, delle ricariche telefoniche e dei pernottamenti in strutture alberghiere. Per non lasciare tracce, gli arrestati cambiavano continuamente le sim-card e i telefonini utilizzati per tenersi in contatto tra loro e coordinare le varie fasi delle truffe.
Nessuna zona d'Italia era immune alle loro scorribande, alle loro vere e proprie trasferte del crimine; difatti, i delinquenti erano soliti soggiornare in una struttura ricettiva di una zona "tranquilla", per non più di 4/5 giorni e poi colpire nei paesi e/o città che si trovavano al massimo nel raggio di 100 km. Per gli spostamenti utilizzavano solo macchine noleggiate e, dopo ogni trasferta, facevano rientro a Napoli, dove tutti gli indagati sono nati e dimorano, per cambiare auto e cellulari, prima di ripartire per un nuovo tour di truffe.
Durante i soli sei mesi di indagini tecniche sono state ricostruite ben 66 truffe tra consumate e tentate, che costituiscono altrettanti capi di imputazione a carico dei 13 indagati. Nel corso dell'attività investigativa sono stati recuperati e riconsegnati alle vittime l'oro ed i preziosi oggetto di cinque truffe, per un valore di circa 100.000 euro.
In un'occasione, a seguito di una truffa perpetrata a Colleferro, è stato arrestato dai militari di una stazione carabinieri il complice che, dopo essersi recato presso l'abitazione della vittima di turno, cercava di far rientro a Napoli con addosso le prove dell'illecito provento, confidando che la breve distanza potesse scongiurare il rischio di imbattersi in qualche controllo.
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