«Potevano uccidermi, non li perdono»

Alem Saidy, 21 anni, è stato operato al volto dopo essere stato colpito con un pugno di ferro sabato pomeriggio

SAN DONA' - È stato sottoposto a una delicata operazione chirurgica il giovane afghano Alem Saidy, 21 anni, residente a San Donà e adottato da anni da una nota e rispettata famiglia della città. Il giovane sabato è stato aggredito in via Ancillotto da una banda composta da almeno tre coetanei, di origine kosovara, che avevano lavorato con lui lo scorso anno in un'azienda della zona. Alle spalle, un alterco tra le due fazioni, perchè Alem aveva difeso alcuni ragazzi di colore contro offese e prevaricazioni nel luogo di lavoro, causando, a quanto sembra, il licenziamento di uno degli operai che si scagliava contro i ragazzi africani.

Sabato pomeriggio uno di questi, assieme ad altri tre complici che hanno bloccato la vittima, ha utilizzato un pugno di ferro per picchiarlo. Una sorta di esecuzione in piena regola, ora al vaglio dei carabinieri di San Donà. Una lezione che gli è stata data per il suo comportamento intransigente a difesa di una minoranza che gli voleva bene e lo ammirava per il suo coraggio.

Alem, dopo la sua esperienza di immigrato clandestino, ha sviluppato una grande sensibilità e il desiderio di battersi per le minoranza che soffrono. Gli hanno provocato una frattura grave allo zigomo, lesioni al setto nasale. Ha rischiato di perdere la vista, ma i medici dell'ospedale di San Donà, oculista e otorino, sono riusciti a limitare i danni con un delicato intervento chirurgico.

Durante l'operazione gli hanno trovato nella testa anche un sasso incastrato nella scatola cranica, a seguito dell'esplosione di una granata quando era bambino in Afghanistan. Le conseguenze del pestaggio non dovrebbero essere permanenti. «Non li perdonerò mai per quello che hanno fatto», dice Alem ancora ricoverato in Chirurgia al nosocomio di via Nazario Sauro «Mi hanno assalito in gruppo, potevano uccidermi e sono stati spietati».

Nonostante il violento scontro sia avvenuto in pieno centro cittadino e di pomeriggio, non ci sono molti testimoni. La famiglia Gianni ha presentato per ora una denuncia e si affiderà, se necessario, a un legale. La storia di Saydi è commovente. Era arrivato in Italia a bordo di un camion frigo quando aveva solo 16 anni, in cerca di fortuna e scappando dalla guerra e dalla disperazione. Era poi stato ricoverato in ospedale, dove è venuto in contatto con la famiglia di Gianpaolo Gianni, la moglie Maria Pia e il figlio Filippo, conosciuto maestro tatuatore a livello internazionale, le altre due sorelle Patrizia e Cristina.

Con loro, molto impegnati nel volontariato e nell'assistenza ai bisognosi, ha trovato una nuova vita in questo Paese che è diventato il suo. Gianpaolo Gianni ha scritto anche un meraviglioso libro sulla sua storia in Italia dal titolo "Fino alla vita, storia di un ragazzo in fuga dall'Afghanistan". Doveva andare a presentarlo sabato sera, ma Saidy in quel momento era sotto i ferri in un ambulatorio dell'ospedale di San Donà, ancora una volta aggrappato alla sua vita avventurosa e piena di ostacoli per cercare la felicità e non perdere speranza e coraggio.

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