«Poteva scapparci la strage come a Prato»
CAVARZERE. Dai laboratori alle case-laboratorio. Cambia così la geografia dei laboratori tessili e dei tomaifici della Riviera, dove sono maggiormente presenti, e del resto del veneziano. «Quest’anno ne abbiamo trovato molti di più» spiega Franca Cossu, responsabile dell’Ispettorato del lavoro di Venezia «ed è sicuramente l’elemento principale che emerge dai controlli. Case che vengono affittate, e che poi vengono trasformate, spesso senza alcuna autorizzazione, in laboratori». Luoghi che riescono così a sfuggire meglio ai controlli ma che riescano di essere ancor più pericolosi per i lavoratori. «Un incendio come quello di Prato» aggiunge Cossu «potrebbe essere scoppiato da un momento all’altro in un ambiente come quello del tomaificio posto sotto sequestro a Cavarzere».
L’impegno dell’ispettorato è anche quello di risalire ai reali proprietari dei laboratori, che molto spesso sono in modo fittizio intestati a dipendenti degli stessi laboratori, che mettono una firma per pochi euro in più - quando va bene e non sono obbligati - nascondendo così la reale proprietà delle strutture. Non è però che i dipendenti schiavizzati siano d’aiuto dal momento che, anche quando parlano italiano, sono molto restii a parlare e a confidare con le forze dell’ordine, soprattutto perché temono di restare senza lavoro. Ma anche perché, come spiegano da Associna, anche se può sembrare impossibile molto spesso questi operai vivono in condizioni migliori rispetto a quelli dei loro paesi d’origine.
A patto che non siano vittime di tratte, come è accaduto in passato, tanto che l’ispettorato del lavoro ha avviato una collaborazione con mediatori culturali anti-tratta del comune di Venezia proprio per cercare di ricostruire le reti attraverso le quali i cinesi arrivano in Italia. (f.fur.)
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