Porto Marghera: il fotografo-operaio e un patrimonio di 15 mila immagini

Sono gli inizi degli anni Ottanta, quando Filippo Alessandro Nappi assieme a Daniele Resini e Mario De Fina iniziano a raccogliere materiali

PORTO MARGHERA. Al lavoro, imponente, sulla storia di Porto Marghera, di cui ricorrono i cent’anni, si deve molto anche alle immagini lasciate da fotografi che hanno dedicato gran parte della loro vita a raccontare la vita di fabbrica.



Sono gli inizi degli anni Ottanta, quando Filippo Alessandro Nappi assieme a Daniele Resini e Mario De Fina decidono di raccogliere materiale per un lavoro su Porto Marghera. Sono fotografi speciali, perché sono anche operai.

Filippo Alessandro Nappi in redazione alla Nuova
Filippo Alessandro Nappi in redazione alla Nuova

«Io e De Fina lavoravamo alla Breda, Resini nel settore degli appalti. Con noi al progetto ha lavorato anche Maria Pia Miani, architetto e valente fotografa. Eravamo entrati nella cooperativa di Arici, allora, ma poi a questo progetto abbiamo lavorato autonomamente trovando l’appoggio di Cgil, Cisl e Uil e l’interesse dei segretari di allora: Rasera, Ghisini e Favaretto», racconta Nappi.

«Noi arrivavamo dalla sinistra extraparlamentare. Loro sostennero il progetto e lo portarono all’esame del Comune. Il sindaco era Mario Rigo, il vice era Gianni Pellicani. Domenico Crivellari era assessore alla cultura mentre Cecconi era l’assessore al turismo. Il progetto partì con un comitato tecnico scientifico presieduto da Cesco Chinello. A lui, il primo, più importante storico di Porto Marghera dobbiamo tutti moltissimo».

Di quel progetto, poi, non se ne fece nulla.

«Abbiamo regalato 15 mila immagini al Comune di Venezia che ne è da allora il proprietario. Noi abbiamo la proprietà intellettuale. Io ho già realizzato varie mostre e libri», racconta.

Il lavoro del gruppo di fotografi operai fu una imponente indagine fotografica sul campo. Andarono a documentare l’ambiente dentro e attorno alle fabbriche, le trasformazioni dei quartieri della terraferma e di Marghera.

I loro obiettivi si sono soffermati sulla Mestre prima del Candiani, sulla discarica di San Giuliano. Scene di lavoro, tra macchine e rumore, risate in mensa, visite mediche, persino i tragitti casa-lavoro degli operai.

A Nappi toccò la prima zona industriale, la centrale Enel e ovviamente i cantieri Breda, dove lavorava. Oggi quei cantieri sono la Fincantieri. Molte delle foto di Nappi ora sono in mostra fino al 10 settembre al locale “Al Vapore” per i festeggiamenti dei cent’anni di Porto Marghera.



Gran parte di quel monumentale archivio fotografico dal 2012 è stato donato al Centro di Documentazione di Storia Locale di Marghera (Cdsl), un luogo prezioso per costruire una grande narrazione di Porto Marghera.



«La fabbrica e l’attività politica hanno significato per tanti operai una evoluzione culturale importantissima. Le diversità, messe assieme, creano checché ne dica Salvini. E questa evoluzione nelle persone si notava. Quegli anni sono stati bellissimi, ma anche tremendi se penso al terrorismo, alla strategia della tensione. La generazione degli operai degli anni Settanta fu protagonista di conquiste importantissime. Erano anni, quelli dal 1965 al 1980, in cui lo stato sociale veniva calato dall’alto, dallo Stato e le fabbriche per la maggioranza erano a partecipazione statale. A suon di scioperi, gli operai hanno vinto tante battaglie. Anche civili. Divorzio, aborto, diritto di famiglia ebbero successo per la partecipazione del movimento operaio. Ecco, credo che con la lenta morte di Porto Marghera si sia prodotto uno stop culturale nel nostro territorio: c’è diversità dal vivere una esperienza collettiva, quotidiana, e viverla da singolo, dipendente di una piccola o media azienda di servizi», spiega Nappi, oggi pensionato e sempre in prima fila, con lo Spi Cgil.

È possibile una rinascita di Porto Marghera, gli chiediamo.

«Prima servono le bonifiche. È una questione vincolante per qualsiasi investitore. Servono milioni di euro per terminare il marginamento. Serviranno milioni di euro per le manutenzioni. E qui si è consumato il più grande scandalo di tutti i tempi, quello del Mose. Venezia resta un tema nazionale, tutt’altro che locale».

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