Porto Marghera, Il 40% delle aree nel totale abbandono
VENEZIA. Quanto vale Porto Marghera, ma soprattutto quanto potrebbe valere? A rispondere alla domanda ci ha provato lo Iuav, e in particolare Ezio Micelli - docente di estimo - scoprendo che il 40% delle aree di Porto Marghera è “edificabile libero o con attività e impianti non attivi”. Un’area di 480 ettari su 1100 sui quali si potrebbe intervenire.
«È una misura che ci restituisce il problema che abbiamo di fronte», spiega Micelli. Un dato che aiuta a capire quale sia il valore che in questi anni è rimasto nel freezer o si è congelato a causa del processo di declino industriale di Marghera che pur tuttavia conta ancora 1.034 aziende attive, compreso l’indotto, con un totale di poco più di 13 mila addetti.
Mentre oggi, stando all’analisi del patrimonio, Porto Marghera vale 6.4 miliardi di euro. È scaturita da questi dati, ieri nella sede della Biennale a Ca’ Giustinian, la riflessione sul futuro dell’area industriale di Marghera nell’ambito di un dibattito della Biennale Architettura che ha messo a confronto il recupero di aree ex industriali che è stato fatto in diverse città del mondo, da Barcellona a Boston passando per Marsiglia e Rotterdam, anche se in nessuna di queste città l’area industriale è vasta tanto quanto quella di Marghera. Anche se è un dato di fatto che, in molte di queste città, passi avanti nella riconversione sono stati fatti, mentre a Marghera e Bagnoli - le due zone italiane prese in esame - per motivi molti diversi, no.
L’interrogativo lo pone il presidente della Biennale, Paolo Baratta, che da ministro dell’Ambiente, vent’anni fa, si occupò proprio di stanziare i primi fondi per la bonifica del terreni nell’area dell’acciaieria Ilva di Bagnoli.
«Rinunciare all’attività portuale e trasformarsi, oppure puntare proprio sull’attività portuale? Napoli è una città che cerca spazi, e li può trovare a Bagnoli, Marghera invece ha uno spazio enorme di cui però non sa bene che farne».
E la riflessione non riguarda solo il 40% delle aree libere o dismesse ma anche le destinazioni future di quelle oggi impegnate in attività portuali o industriali. Impossibile, secondo Micelli, pensare che Marghera possa trasformarsi in un nuovo quartiere residenziale.
«Non c’è via d’uscita rispetto alla vocazione industriale o portuale», spiega Micelli, già assessore all’Urbanistica, «non c’è la base demografica per supportare questa strategia e non c’è possibilità di ritorno immobiliare, come ha dimostrato e la vicenda, inconcepibile in termini immobiliari, del Palais Lumière. Lavoriamo sull’esistente senza immaginare di fare tabula rasa di quanto è stato fatto fino ad ora».
Ma ha senso una prospettiva portuale - industriale - l’interrogativo di Flavio Tejada, dello studio Arup di Madrid - per una società di medie dimensioni e considerando che siamo nell’alveo dell’economia della conoscenza? E’ la domanda che molti in sala si pongono: anche perché se a Marghera ci sono tante aree libere è perché mancano gli imprenditori, spaventati dai costi delle bonifiche che rischiano di dover affrontare.
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