Porto franco riaperto, un anno di deserto

La Venice Free Zone per i traffici extracomunitari è minata dalla mancanza di permessi per i tir che sbarcano a Fusina
Di Gianni Favarato

La “Venice free zone”, ovvero il porto franco di Venezia, è stato riaperto poco più di un anno fa e dato in gestione all’impresa Sidersped srl con una concessione dell’Autorità Portuale scaduta il mese scorso senza aver realizzato alcun risultato tangibile. Tutta colpa - a quanto pare - del ministero dei Trasporti che ancora non ha concesso i permessi necessari a garantire l’accessibilità al “punto franco” ai tir carichi di merci, provenienti dal terminal traghetti di Fusina.

Eppure, insieme a quelli di Gioia Tauro e Trieste è una delle tre zone franche per il commercio internazionale, riconosciuti dall’Europe in Italia, nel quale possono essere svolte in tempi celeri e a costi ridotti tutte le operazioni di sdoganamento di merci caricate su camion di provenienza extracomunitaria, con la possibilità di stoccaggio merci senza limite di tempo. La Venice free zone (Vfz) è disposta su un’area di 8 mila metri quadrati - come previsto dal decreto legge pubblicato dell’aprile del 2013 che consente anche di spostarlo e ingrandirlo su un’altra e più adatta area del porto veneziano - che si trova tra il varco di via del Commercio e via dell'Azoto a Porto Marghera, direttamente collegata con i binari della rete ferroviaria.

La Venice free zone è stata voluta con forza dall’Autorità portuale, ma anche dalle istituzioni locali, dalle categorie economiche e dai politici veneziani che da anni la invocano come possibile nuovo volano di un rilancio post-industriale di Porto Marghera che si trova nel produttivo e ricco Nordest dove convergono grandi traffici commerciali con destinazioni e origini extracomunitarie, soggetti a speciali e rigide norme doganali che lo status di porto franco può aggirare, offrendo indubbi vantaggi ai clienti dello scalo veneziano.

Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale veneziana, sostiene da anni e con tutti i governi che si sono succeduti in Italia, la riapertura del porto franco di Venezia, istituito nel 1830 dall'imperatore austriaco che aveva dichiarato l'intera città di Venezia “porto franco” con l'intento di incrementare la sua vocazione commerciale. Il regime di franchigia venne però abolito nel 1874, quando ormai la bocca di porto del Lido, soggetta a un progressivo interramento dovuto al gioco delle correnti, era inutilizzata (fu abbandonata già dalla stessa Serenissima a partire dal 1725 visto che tutte le navi confluivano sull'ingresso in laguna da Malamocco).

A più di un secolo di distanza un punto franco nella laguna di Venezia è stato sì riattivato ma senza creare i presupposti per un suo concreto sviluppo. Per molti addetti ai lavori la causa del mancato decollo della Vfz è il fatto che è troppo piccola, ma la stessa Autorità Portuale, su autorizzazione del Governo, prevede un suo allargamento ed è pronta a farlo con l’impresa che otterrà, partecipando alla gara che presto sarà indetta, la necessaria concessione dopo l’uscita di scena di Sidersped srl. «Stiamo attendendo», precisa Costa, «che da Roma il Governo si decida a concedere al punto franco veneziano i permessi di ospitare i traffici extracomunitari».

A Trieste i permessi di transito nel porto franco sono tra i 100 mila e i 200 mila, ma a Venezia ne basterebbero, almeno per il momento, 10 mila. Che però non arrivano, malgrado il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture sia stato sollecitato dall’Autorità Portuale veneziana anche negli ultimi giorni. «Non chiediamo esenzioni fiscali», ribadisce Costa, «vogliamo solo la possibilità di accesso ai traffici extracomunitari a Venezia che è una delle pochissime città italiane già dotate di punto franco che ora possiamo ampliarlo nei terreni dismessi della zona industriale per attrarre così nuove imprese italiane e straniere».

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