«Porterò mio marito a morire all’estero»

QUARTO D’ALTINO. «Dateci un contributo per andare in un altro Stato a far staccare la spina ad Andrea». Parole forti, durissime, sulla spinta della disperazione, quelle indirizzate nei confronti della Regione da Maria Grazia Morgese, moglie di Andrea Zambon, 45 anni, affetto da Sla, intubato e immobilizzato da anni.
«In questi giorni si parla molto della politica italiana che deve accelerare i suoi tempi», scrive la donna, «io mi chiedo se la politica regionale abbia sentito questo appello. Ho la netta sensazione che le istituzioni locali siano ferme con le quattro frecce. Siamo ormai a maggio e del bilancio regionale e dei relativi decreti attuativi nulla si sa. Mio marito Andrea, ad altissima intensità assistenziale, attende che qualcuno si accorga del dramma che noi tutti in famiglia stiamo vivendo. Per voi assessori e direttori al sociale della nostra Regione è tamquam non esset (come se non ci fosse). Da gennaio ogni contributo è svanito. E noi siamo in attesa che la politica regionale, quella che dovrebbe essere più attenta alle esigenze dei suoi cittadini più deboli, si decida a svegliarsi e a distribuire i famigerati fondi per la Sla».
«Abbiamo dovuto licenziare le assistenti che non potevamo più pagare», osserva Maria Grazia Morgese, «addirittura la signora che garantiva il servizio notturno, indispensabile per la mia sanità fisica e mentale, sta fornendo le sue prestazioni gratuitamente e per un senso di umanità e solidarietà nei nostri confronti, nella speranza che un domani la si possa pagare. Con tre figli giovani l’unico sostegno è quello della pensione di mio marito. Chiedo allora ai nostri sensibili politici regionali che si rendano conto del baratro in cui ci stanno facendo sprofondare». E ancora: «È troppo facile nascondersi dietro a tagli e mancati trasferimenti, quando vengono elargite centinaia di migliaia di euro per qualche festa rionale. Vista l'impossibilità di ottenere il diritto a vivere degnamente, chiedo ai responsabili regionali di concedere un contributo una tantum, per permetterci di andare in un altro Stato a far staccare la spina ad Andrea, dato che loro, ufficialmente e ipocritamente, non ne hanno il coraggio».
Aggiunge la donna: «La nostra pazienza è finita. Qualora non trovassi nei prossimi giorni più nessuno che ci garantisca i fondi per l’assistenza almeno notturna, mi impegno a denunciare tutti voi per istigazione al suicidio. Il fatto che Andrea conservi la stessa voglia di vivere di 14 anni fa, nonostante l’atroce malattia, è cifra del suo inalienabile diritto ad avere un vissuto di qualità, che solo gli uomini della “stanza dei bottoni” sono in grado di assicurargli. Al primo che si azzarderà a dire che bisogna creare una rete per aiutare le persone in difficoltà che vogliono suicidarsi, offro gratuitamente una giornata, notte compresa, a fianco di mio marito, per capire il vero senso della vita. Perché, in verità, l’autentica sventura, la suprema afflizione è individuale e mai generale».
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