Polstrada, sede in vendita ma scoppia la polemica

San Donà. Autovie potrebbe comprarla dal Comune per poi ristrutturarla Critiche dal comitato del confinante Museo della Bonifica: «Scelta sbagliata»

Sede della polizia stradale venduta ad Autovie Venete, il comitato per la difesa del Museo della Bonifica insorge. L’edificio, ex monastero delle Clarisse di via Giorgione, fu progettato dagli architetti Bianchi e Zambusi di Padova nel 1967, destinato per una parte a museo e l’altra a sede della polizia. Dino Casagrande, già vice segretario comunale e direttore del museo, referente del comitato, protesta contro la decisione del Comune di vendere l’immobile, per circa 200 mila euro, in un investimento che ne comporta circa due milioni per la ristrutturazione di Autovie Venete.

«Era stato acquistato dal Comune nel 1980», ricorda Casagrande, «dalla Provincia Francescana di Sant’Antonio di Padova, a uso di museo e fu, con sofferta decisione, smembrato in due e destinato in parte alla Polstrada. Quella decisione assurda, quel peccato originale, comportò la necessità di ampliare le sede del museo con forte spesa, fortunatamente trovando e ottenendo un contributo della Comunità Europea per il 90%. Quella di destinare parte dell’immobile alla stradale, con notevole spesa ulteriore per la realizzazione ex novo dei garage - che si dicono essere fatiscenti mentre hanno solo trent’anni - fu una scelta improvvida, in quanto il possibile completamento dell’edificio secondo il progetto originario, era da preferire sia alla costruzione dell’ala nuova del museo, che non sarebbe stata necessaria, sia alla costruzione del garage».

«Perché si parla di un immobile fatiscente?», si chiede, «non credo sia questo lo stato che si vuol far credere. Il Comune ha speso decine di migliaia di euro per mantenerlo in efficienza». Invoca dunque chiarezza su questa operazione e ritiene che le infiltrazioni si possano risanare, altre cose sistemare rilanciando altre soluzioni per la polstrada, come la ex caserma Tombolan Fava sulla quale investire quei 2 milioni. «Mai il Comune», prosegue, «può smembrare e permettere che una parte di un importante bene immobile, che nella sua unità è un’opera d’arte architettonica del ’900, venga alterata ulteriormente, ovvero ristrutturata. In ogni caso questa annunciata operazione non ci convince. Perché si cede un gioiello come l’immobile di via Giorgione per pochi euro? È un edificio che merita, invece, di essere restaurato e ricondotto alla funzione prevista originariamente: museo della città. Sarà bene, una volta conosciute meglio le carte ed esaminati gli atti, informare anche chi ha la funzione investigativa, per una verifica su tutta questa non chiara operazione immobiliare».

«Come Comitato per la difesa del Museo della Bonifica», conclude, «stiamo valutando azioni per contrastare la nuova assurda iniziativa e invitiamo i cittadini a conoscere meglio la proposta e a schierarsi fin d’ora perché possibili provvedimenti, siano contrastati».

Giovanni Cagnassi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia