Più hot dog e meno maschere
Bar e fast food al posto dei negozi di souvenir, stravolto il cuore della città. L’allarme di Confartigianato
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 11.11.2017.- Nuovi negozi. Ex Testolini, ampliamento Bar/Ristorante vicino. Calle dei Fabbri
Bar al posto dei negozi di maschere; take away lì dove qualche anno fa ci sarebbe stata la fila per vendere vetri; dolci e bibite invece dei souvenir. I bisogni primari dei 28 milioni di turisti che ogni anno si riversano in laguna hanno cambiato la morfologia delle insegne commerciali, mettendo un freno all’apertura incontrollata di botteghe di pseudo specialità veneziane - maschere in primis, passati da 124 negozi del 2002 ai 101 del 2017 - a beneficio di un fiorire altrettanto sfrenato di pizze al taglio, paninoteche, fast food.
Se un turista magari decide di risparmiare sulla maschera, sicuramente non potrà fare a meno di un panino o di un caffè. Da questo ragionamento elementare è partita la carica dei nuovi bar, dei negozi di dolciumi, caramelle, liquori, pasta espressa, tranci di pizza, hamburger, patatine e ogni genere di cibo che non richiede tavoli, né posti a sedere, ma può essere consumato camminando tra le calli. Tutti pubblici esercizi aperti senza bisogno di alcun permesso ma semplicemente presentando una dichiarazione firmata da un professionista.
Salizada San Giovanni Gristostomo ne è l’esempio più eclatante perché, nel giro di un paio di mesi, ha cambiato completamente fisionomia. Un fast food al posto della Fiaschetteria toscana, un pizza al taglio invece del fotografi, e poi le caramelle di Captain Candy lì dove c’erano le borse, un bar al posto dell’ottico Viani e i dolci di Nino’s and friend invece di Ballin.
Ora tocca all’ex cartoleria Testolini, in calle dei Fabbri, diventata proprio in questi giorni il prolungamento del vicino ristorante al Teatro Goldoni mentre in zona San Luca nessuno sa più dove comprare una risma di carta. Stessa sorte per la zona di calle della Bissa, dove sono spuntati altri pubblici esercizi, incluso un take away di pasta.
«Sta succedendo quello che il mercato chiede, ovvero caffè, panini, street food» dice il segretario di Confartigianato, Gianni De Checchi «mentre i negozi che vendono maschere, inflazionate da un pezzo, non solo non aprono più ma fanno addirittura fatica a cedere l’attività. Il vetro, invece, è in un momento di stallo. Il resto è in rimonta, c’è un bar ogni metro, un food ogni metro, in una situazione che è fuori da ogni controllo».
L’allarme di De Checchi, non è isolato e guarda a 260 chilometri di distanza, in quel di Firenze, dove regolamenti e divieti hanno messo un freno alla massificazione commerciale a uso turistico. «Venezia doverebbe e potrebbe muoversi sulla stessa strada» continua De Checchi «Invece ha fatto partorito un topolino cieco con la delibera sui take away, che è ancora in Regione in attesa di parere».
Intanto intere zone della città hanno cambiato volto, mentre i cestini delle immondizie non bastano più perché la nuova - e più economica - abitudine di mangiare per strada ha aumentato la quantità di rifiuti.
«Credo che quello che sta succedendo sia scandaloso perché purtroppo aprono attività che non possiamo nemmeno chiamare ristorazione mentre noi vogliamo una ristorazione di qualità» dice il segretario dell’Aepe, Ernesto Pancin. «Mi aspetto che la Regione si decida a rispondere dopo mesi che il Comune ha presentato un progetto per limitare i take away. Vista l’urgenza e l’emergenza, mi aspettavo dalla Regione più interesse per questo problema che sta stravolgendo Venezia e le città d’arte. Personalmente sarei più drastico e reintrodurrei le distanze minime tra un esercizio pubblico e l’altro, come era una volta, così come spero che si possa ritornare alle licenze del commercio e dei pubblici esercizi, in modo da poter programmare la sostenibilità della attività del settore».
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