"Picchetto" davanti a scuola? Per la Cassazione è un reato

VENEZIA. Chi organizza un "picchetto" davanti alla scuola, impedendo a compagni ed insegnanti di entrare per svolgere o seguire le lezioni, può andare incontro a una condanna per violenza privata e interruzione di pubblico servizio.
Lo stabilisce una sentenza con cui la quinta sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso di un giovane, all’epoca dei fatti non ancora maggiorenne, che era finito sotto processo per aver bloccato, assieme ad altri, le porte del liceo scientifico Giordano Bruno di Mestre, impedendo l’entrata a chi non aderiva alla manifestazione in atto.
Al ragazzo, giudicato con rito abbreviato, il gup del tribunale dei minorenni di Venezia aveva concesso il perdono giudiziale, ma la difesa aveva comunque proposto ricorso in Cassazione. Per la Suprema Corte - come si legge nella sentenza depositata martedì - «l’impedimento frapposto dal ricorrente ai compagni di scuola e al corpo docente, ad entrare nell’edificio scolastico, rappresenta un dippiù rispetto all’impedimento o al disturbo del normale svolgimento delle lezioni».

Con questo verdetto emesso dalla Quinta sezione penale, i supremi giudici sottolineano che durante l'occupazione del liceo di Mestre, «al personale docente, amministrativo e agli studenti (che non aderivano alla manifestazione) fu impedito l'accesso, perché il portone principale della scuola era stato sbarrato e l'accesso era consentito solo attraverso una porta di sicurezza laterale dove, per entrare, si dovevano contrattare le condizioni di ingresso che era stato subordinato all'adesione alla manifestazione».
La Cassazione - confermando la sentenza emessa dal Gup del tribunale dei minori di Venezia nel 2014 nei confronti di uno degli studenti "picchettatori" - rileva che «i giudici di merito non hanno affatto negato» al giovane imputato «la titolarità del diritto di sciopero (diritto peraltro difficilmente riconducibile alle situazioni soggettive ravvisabili in capo allo 'studentè), di riunione o di manifestazione del pensiero». Ma hanno invece «chiaramente affermato, in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte, - prosegue la Cassazione - che lo stesso esercizio di diritti fondamentali, quali quello di sciopero, riunione e di manifestazione del pensiero, cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti». Ed è quello che è «esattamente» avvenuto in questo caso dato che «l'occupazione temporanea della scuola per circa due ore, ha di fatto impedito ai non manifestanti di svolgere le consuete attività di studio per un tempo apprezzabile, con conseguente ingiustificata compressione dei loro diritti».
Inoltre la Cassazione spiega che le occupazioni selvagge o a "singhiozzo" sono «iniziative arbitrarie» mentre si poteva dar vita ad una «autogestione programmata, con obbligo di preavviso», come aveva indicato il gup, questo per chiarire che «l'imputato aveva altri strumenti per impostare un dialogo costruttivo con i compagni di scuola e il corpo docente». Quanto all'obiezione dello studente che ha detto di aver agito in base all'art. 18 della Costituzione sulla libertà di associazione, facendo presente che le precedenti occupazioni non erano state seguite dalla "mano pesante", la Suprema Corte replica che «nessuna norma autorizzava l'imputato ad associarsi con altri studenti nella maniera da lui pretesa e a comprimere il diritto di coloro che volevano partecipare allo svolgimento delle lezioni o a rendere la prestazione lavorativa». Quanto al venir meno del permissivismo, gli 'ermellinì condividono quanto scritto dal gup: «lo studente era un soggetto intellettualmente attrezzato, perfettamente in grado di comprendere il carattere antisociale delle sue azioni, per cui era anche in grado di capire che la tolleranza manifestata in precedenti occasioni non rendeva lecita la sua condotta nè poteva essere posta a base di comportamenti indefinitamente protratti nel tempo, specie di fronte alla aperta opposizione della dirigenza dell'Istituto». Il ragazzo, ora maggiorenne, ha ottenuto il perdono giudiziale. (ANSA).
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia