Petroven, Bergamo a casa dopo due mesi di carcere
MARGHERA. Dopo due mesi di carcere, ma soprattutto dopo due lunghi interrogatori durante i quali ha confessato e ha rivelato dove teneva i soldi guadagnati con la vendita del gasolio rubato alla Petroven, Marco Bergamo è tornato a casa. Con parere favorevole del pubblico ministero Paola Tonini, infatti, il giudice Roberta Marchiori, che a maggio aveva emesso le ordinanze di custodia cautelare per appropriazione indebita, ha concesso gli arresti domiciliari all’indagato. Gli investigatori della Digos, in questo modo, hanno recuperato poco più di ottantamila euro.
Il mestrino Bergamo, il principale indagato nell'inchiesta per i furti di gasolio alla Petroven di Marghera, aveva deciso di vuotare il sacco un mese fa. Dopo aver cambiato il difensore, era stato a lungo interrogato dal pubblico ministero Paola Tonini e non soltanto avrebbe ammesso le contestazioni che gli sono state mosse con l'ordinanza di custodia cautelare, ma aveva parlato anche di altro. Era stato arrestato poco più di due mesi fa per una serie di furti all'interno dell'azienda e per aver confezionato e spedito tre lettere esplosive ad altrettanti dirigenti. Difeso dall'avvocato Daniele Grasso aveva poi chiesto di essere sentito dal pubblico ministero che ha coordinato le indagini della Digos. Stando all'accusa, avrebbe commesso almeno venti furti e ogni volta avrebbe sottratto all'azienda 40 mila litri di gasolio. Bergamo nell'ultimo interrogatorio avrebbe confermato, aggiungendo però che c'erano anche alcuni dirigenti che rubavano carburante, persone nei confronti delle quali non è stato preso alcun provvedimento e che per ora non sono indagati. Avrebbe fatto anche alcuni nomi e avrebbe indicato in quale modo si sarebbero appropriati del gasolio. Ora tocca agli investigatori della Digos trovare riscontri, appurare se quello che ha raccontato corrisponda al vero o sia il tentativo di vendicarsi di qualcuno che lo avrebbe messo nei guai. Secondo il capo d'imputazione, Bergamo avrebbe confezionato tre lettere esplosive e le avrebbe spedite ai vertici Petroven, agli ingegneri Claudio Pepe, Antonio Lenti e Giuseppe Russo. Stando alla ricostruzione dell'accusa, le lettere erano partite dopo che i vertici aziendali avevano aumentato i controlli interni per impedire i furti. Ad incastrare l'indagato alcune intercettazioni telefoniche e la testimonianza di un'amica, la quale ha rivelato ai poliziotti che Bergamo aveva confezionato quelle lettere davanti a lei, nella sua casa di Mirano.
Giorgio Cecchetti
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