«Perse le ceneri di nostra madre, facciamo causa al Comune»

Nel dicembre 2015, durante alcuni lavori di esumazione, era sparita la teca.  Annalisa e Renata Cagnin da tre anni non sanno più dove portare un fiore 

MIRA. Da tre anni in occasione della commemorazione dei defunti non sanno più dove portare un fiore alla propria madre. Qualcuno, al Comune di Mira, dopo una esumazione, ha “perso” le ceneri di Livia Bottacin, la loro madre defunta. E così ora, Annalisa e Renata Cagnin hanno deciso di fare causa al Comune.

Era il dicembre 2015 (governava la giunta guidata da Alvise Maniero) quando le due donne ricevettero una lettera dal Comune nella quale si informava che la salma del padre Gino, deceduto nel 1991, e sepolto nel cimitero di Gambarare, sarebbe stata esumata il 29 dicembre 2015, essendo decorsi i dieci anni previsti nel regolamento di polizia mortuaria.

Nella tomba a terra dove l’uomo era sepolto, protetta da un pozzetto, però, c’era anche la teca con le ceneri della moglie Livia Bottacin, scomparsa nel 2011 e cremata. Le figlie avevano voluto riunirli subito ed erano state autorizzate a riporre provvisoriamente l’urna della mamma nella tomba del papà, in attesa di spostarli entrambi nell’ossario dopo l’esumazione.

«Che le ceneri fossero lì non c’è dubbio alcuno» spiegano i referenti dello Studio 3A che segue la vicenda. Lo si precisa bene nella lettera che il Comune di Mira aveva inviato ai familiari e all’impresa che all’epoca aveva in appalto i servizi cimiteriali. Di più, nell’ordine di servizio si specificavano le modalità di esumazione («eventuale raccolta altrimenti reinumata») e si raccomandava agli addetti all’esumazione «di non rompere il pozzetto contenente le ceneri».

Nel giorno e orario stabiliti Annalisa Cagnin si era recata in cimitero a Gambarare per assistere alle operazioni di esumazione dei resti dei genitori, ma al suo arrivo gli operai della Artco avevano già rimosso la lapide, aperto la tomba e scavato la terra con una ruspa, raggiunto e aperto la cassa del padre e recuperato i resti, pronti per essere consegnati ai parenti. Quando però la signora ha chiesto di avere anche l’urna con le ceneri della madre, gli addetti sono caduti dalle nuvole, sostenendo di non aver visto nulla, sebbene la teca, fosse di una certa grandezza e avesse anche il talloncino del nome sopra.

Il terreno era stato scavato e rivoltato e gli addetti hanno anche detto che ormai era impossibile ritrovarvi qualcosa. Da allora l’urna risulta dispersa e il timore è che sia stata distrutta dalla scavatrice e le ceneri disperse e mescolate nel terreno. Sconvolte, le due sorelle hanno fatto di tutto per recuperare le ceneri e avere spiegazioni ma hanno ricevuto solo qualche scusa. Di qui la decisione di rivolgersi a Studio 3A. Nessuna delucidazione e richieste di risarcimento regolarmente respinte.

E ora la decisione di affidarsi all’avvocato Alessandro Menin per avviare un’azione civile in cui si ipotizza la violazione dell’obbligo di controllo sull’operato dell’impresa appaltatrice e di custodia da parte dell’Amministrazione comunale, nonché degli obblighi di natura contrattuale a cui il Comune è vincolato per la concessione in uso degli spazi cimiteriali per la sepoltura dei defunti.

E, ovviamente, si cita anche la Artco facendo riferimento alla violazione dell’obbligo del “neminem ledere” e all’esecuzione delle attività di esumazione rivelatasi “quantomeno incauta, superficiale e negligente”. L’attuale sindaco Marco Dori si dichiara costernato per quanto successo. «Cercheremo di far chiarezza sull’accaduto» dice Dori «aiutando a ricostruire le eventuali responsabilità». —


 

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