Pellegrinaggio speciale a 100 anni dalla Guerra

Gli Alpini a Treviso, tra ricordo e nuova missione civile
Di Paolo Cagnan

di PAOLO CAGNAN

“Se non l’hai mai vissuta prima, non puoi capire cosa ti aspetta. Ma se ne hai vista almeno una, potrai spiegarla agli altri perché è un vero e proprio format. Eppure... tutte uguali, tutte diverse al tempo stesso. Il bello è proprio questo”.

Così mi descrissero per la prima volta un’Adunata nazionale, molti anni fa. Avevano ragione. Cambiano le città, cambia il contesto, restano lo spirito e il modello organizzativo. Entrambi rodati, entrambi incrollabili. Le adunate delle penne nere stravolgono le città che le ospitano. Le mettono a soqquadro. Seducono e abbandonano, lasciandole come se non fossero mai passate di là. Anzi: più belle e ordinate di prima.

Ti alzi il lunedì mattina e la città si è svuotata. E’ rimasto poco o nulla di quel vortice che ti aveva risucchiato sino a qualche ora prima. E ti prende una strana sensazione. Per qualcuno, certo, di sollievo per il ritorno alla normalità. Per molti altri - i più - di vuoto. E’ un effetto post-sbornia, termine che qui in effetti potrebbe suonare involontariamente ironico. E il silenzio, soprattutto. Non risuonano più i cori alpini nelle chiese, i Trentatrè per le strade, le fisarmoniche e le trombe. Le fanfare improvvisate ad ogni angolo.

Niente più T-shirt goliardiche, panini al salame, pinte di birra e di allegria, trabiccoli, pacche sulle spalle. Smontati i palchi, spariti camper e tende, le auto si riprendono l’asfalto lasciato all’incedere marziale ma non troppo degli alpini per sempre. Migliaia di transenne che tornano nei magazzini.

La normalità.

Ecco, sarà così anche a Treviso. Un’adunata speciale, la novantesima. L’Adunata del Piave, la prima diffusa (non solo il capoluogo ma anche Conegliano, Valdobbiadene e Vittorio Veneto) nell’anno del Centenario. Un pellegrinaggio di massa attraverso luoghi che grondano memoria.

La retorica patriottistica, l’orgoglio nazionale, i vincitori di qua e i vinti di là dal Piave: tutto questo (in terre che vivono comunque il tricolore e il senso della nazione in modo ancora molto combattuto, a volte anche conflittuale) non dà conto, o lo dà solo in parte, di cosa sia stata quell’immane tragedia chiamata Grande guerra. Anche il turismo militare non è corollario di un’allegra scampagnata di gruppo, ma rispetto della Memoria.

Omaggio a chi è andato avanti, monito alle future generazioni. In mezzo, c’è il presente: tra gli alpini professionisti impegnati nelle missioni internazionali e i volontari della Protezione civile, campioni di altruismo ed efficienza.

Questo nostro inserto, oltre che una guida pratica all’Adunata del Piave, vuole essere un ossequio alle Penne nere. In edicola trovate il nostro libro fotografico con i vostri ricordi della naja alpina: centinaia di foto per un amarcord tutt’altro che paludato o istituzionale. In Camera di commercio a Treviso, poi, quelle immagini si fanno mostra, assieme agli scatti di Enzo Isaia che raccontano un anno di naja nell’ormai lontano 1964.

Buona Adunata a tutti/e.

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