Patti Smith poetessa per l’isola di San Giorgio

In concerto al Teatro Verde, legge i suoi versi, regala grande musica e alla fine strappa le corde della chitarra

VENEZIA. Patti Smith ha stregato i mille spettatori del Teatro Verde dell’isola di San Giorgio Maggiore con la sua energia punk e la sua sensibilità poetica. La poetessa rock statunitense ha chiuso alla grande L.i.VE. in Venice. Come ogni concerto dell’artista, che non ama essere definita sacerdotessa rock, anche quello di San Giorgio è stato un incontro ravvicinato con la storia della musica, denso di energia e di stimoli di riflessione.

La Smith con la sua solida band, capitanata dal chitarrista di sempre Lenny Kaye, ha illuminato il palco del Teatro Verde con un’intensa performance di un’ora e mezza, basata su 17 brani tra i più significativi di 38 anni di carriera. La rocker ha interpretato estratti dai suoi primi album di metà anni Settanta con cui anticipò il punk inglese (“Horses”, “Radio Ethiopia”, “Easter” e “Wave”) ma anche degli anni Ottanta (“Dream of life”), Novanta (“Gone away” e “Peace and Noise”), Duemila (l’ultimo disco “Banga” del 2012). Ha aperto il concerto con la recente “April Fool” dedicata al grande scrittore russo Gogol’, per poi proseguire col reggae di “Redondo Beach” dal primo album “Horses”.

Poi, il tuffo nella storia è continuato con “Distant Fingers” e “Break It Up”. A quel punto è arrivata una versione punk di “Summertime Blues” di Eddie Cochran, seguita da una suggestiva e lunga “Banga”, canzone dedicata al cane omonimo de “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov. Durante un intermezzo strumentale della canzone, l’artista si è messa a ululare come un cane alla luna, riuscendo a coinvolgere tutti e mille gli spettatori che hanno dato vita a un originale coro canino. Poi, la Smith ha imbracciato la chitarra acustica e si è lanciata in una poesia, apparentemente improvvisata, dedicata a San Giorgio in cui ha espresso tutta la sua ammirazione per Venezia e le sue isole, rafforzata dal fatto che il suo punto di riferimento papa Luciani fu patriarca della città lagunare.

Il ricordo di JJ Cale, al chitarrista e autore di “Cocaine” scomparso proprio il giorno prima del concerto non poteva mancare Patti gli ha dedicato “Beneath The Southern Cross”. Subito dopo la rocker ha fatto scatenare il pubblico con “Dancing Barefoot” e “Pissing in a River”. Gli spettatori si sono alzati in piedi e sono scesi verso il palco per cantare in coro. Allora la Smith ha sfoderato i suoi classici: “Because the night” (testo della Smith su musica di Bruce Springsteen) e “Gloria” brano dei Them completamente stravolto dalla cantante che ancora oggi continua ad aprire la canzone con la frase: «Jesus died for somebody’s sins but not mine» («Gesù morì per il peccato di qualcuno ma non il mio»). Allo spelling di “Gloria” (G-L-O-R-I-A) il pubblico ha risposto all’unisono. Purtroppo però a quel punto, quando l’atmosfera era veramente caldissima, tra appassionati applausi il concerto è terminato.

Dopo gli inevitabili richiami degli spettatori, Patti Smith è tornata per cantare due grandi bis: l’inno “People Have The Power” e una selvaggia versione di “My Generation” degli Who. Alla fine del brano la cantante che aveva imbracciato la sua Fender Stratocaster e si era fasciata la mano destra, ha strappato le corde più sottili della chitarra in omaggio agli Who che distruggevano gli strumenti alla fine dei concerti.

Una straordinaria esibizione di una grande rocker, poetessa ed intellettuale impegnata che ama l’Italia per la sua cultura e i suoi leader spirituali. E che nel Teatro Verde - il luogo, le siepi, la quinta del palcoscenico assolutamente unica - ha trovato il luogo di una performance indimenticabile.

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