Passione e cartapesta la rivincita dei mascareri di Venezia

Venezia. Franco e Barbara resistono circondati e minacciati da articoli di plastica. «I nostri sono prodotti a chilometro zero, tutto viene fatto e dipinto a mano» 
04/06/01.- PASTICERIA ROSA SALVA IN CALLE FIUBERA. INTERPRESS/ RAFFELE.
04/06/01.- PASTICERIA ROSA SALVA IN CALLE FIUBERA. INTERPRESS/ RAFFELE.

VENEZIA. «Qua non abbiamo maschere di plastica, né modelli fatti in Cina da vendere a pochi euro». Tra la valanga di negozi di paccottiglia e cianfrusaglie c’è chi ancora tiene alta la bandiera dell’artigianato di qualità e del «made in Venice». Non sono molti i mascareri che lavorano secondo le regole della tradizione. Quindici-venti in tutta la città, a fronte di migliaia di botteghe e negozietti che vendono oggetti che nulla hanno a che fare con la storia di Venezia.

Franco Uscotti e la moglie Barbara Venuda lavorano da trent’anni la cartapesta, e producono in casa maschere fatte a mano, che vendono nel loro negozio di pochi metri quadrati in calle Fiubera, a due passi da San Marco.

«Abbiamo scelto di produrre soltanto maschere di cartapesta», dice con una punta di orgoglio Franco, artigiano di lungo corso con la passione della chitarra elettrica, «la cartapesta è un materiale antico, povero, leggero. Si lavora sovrapponendo 6-7 strati di carta e colla». Costa sicuramente più lavoro, soldi e fatica rispetto alle maschere «finte», fatte in serie e di qualità scadente. «Per fare una maschera in cartapesta ci vuole tempo», spiega Uscotti, «noi lo facciamo all’antica, con il volto della maschera modellato con l’argilla. L’argilla si secca e sopra si fa il calco in gesso. Poi viene dipinta a mano». Sui muri della bottega campeggiano le maschere dei dottori della peste, la Luna e il Sole, i diavoli, le maschere della Commedia dell’arte, i Jolly e i Pulcinella. Ci sono anche le maschere più piccole, a prezzo ridotto. Ma anche quelle sono dipinte a mano da Franco e Barbara. Un’azienda a «chilometro zero», che dà lavoro per qualche ora anche a studenti e giovani artisti che imparano il mestiere.

«Abbiamo scelto di avere in vendita solo prodotti artigianali, niente plastica». Un’eccezione rispetto all’invasione di prodotti di bassa qualità. «Spesso si tratta di prodotti importati dall’estero e dalla Cina», dice Franco, «la normativa non ci tutela, comanda il libero mercato. Dunque basta aggiungere un nastro con la scritta made in Italy e tutto va a posto. Ma quelle maschere non sono prodotto dell’artigianato italiano, tantomeno veneziano».

Un’arte che nessuno tutela. Nemmeno il Comune, che ha ormai abbandonato la strada delle regole sulle merceologìe. Fino a qualche anno fa per aprire un negozio o un bar occorreva una licenza, e bisognava rispettare le distanze minime. Oggi tutto è saltato. La legge Bersani, poi le norme europee. Che a fatica vengono contrastate da qualche comune coraggioso come Firenze, che ha vietato la vendita di prodotti non tipici nel centro storico, mettendo anche un limite al numero dei bar. A Venezia non succede.

Così, girando per le strade principali, da Lista di Spagna a Strada Nuova a San Marco, si vedono centinaia di negozietti con esposte piccole maschere. «A volte la plastica viene ricoperta con un foglio di carta», spiega Uscotti, «così il turista crede di avere in mano un prodotto di cartapesta. Ma non è vero. Ci copiano anche i modelli, e questo è un attacco alla nostra dignità professionale».

Ma i due mascareri resistono. Provano a far capire al turista, almeno a una parte della valanga di turisti attesa adesso per il Carnevale, che tra una maschera cinese in plastica e un prodotto in cartapesta fatto a mano c’è una bella differenza».

 

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