Paolo Costa: «Venezia si salva solo se allarga il suo territorio»
VENEZIA. «Il problema in questo momento non è Venezia, è il mondo intero e la nostra civiltà così come la conosciamo. La prima domanda è: quanto durerà il Coronavirus e la situazione che stiamo vivendo? È come quando stai sott’acqua senza respirare: se ci stai cinquanta secondi non è un grave problema, ma se passi due minuti, quando ne esci può essere troppo tardi».
Il professor Paolo Costa è, come sempre, risoluto e pragmatico, parlando del futuro di Venezia, “orfana” chissà per quanto tempo della sua monocultura turistica che l’ha abbandonata, sotto i colpi dell’acqua alta eccezionale prima, e dell’emergenza sanitaria ora, che ha dato il colpèo di grazia, desertificando la città.
Venezia in questo momento non ha più nulla, senza turismo.
«Si è sempre ripetuto in questi anni che bisogna affiancare qualcos’altro al turismo, che l’economia della città così era troppo fragile, ma ci si è adagiati sull’idea che comunque si potesse andare avanti così. Ora il crollo del turismo è arrivato e nulla sarà come prima. Anche finita l’emergenza ci vorrà tempo prima che la gente riprenda a viaggiare, almeno due anni perché le linee aree tornino alla normalità. Il turismo e i trasporti saranno i settori più lenti a ripartire, quando saremo fuori da questa situazione. Al massimo avremo la ripresa del turismo interno, che comunque è qualcosa. Ma fenomeni come Airbnb e gli alloggi turistici in affitto sono destinati a ridimensionarsi pesantemente».
Come si ripartirà, quando si ripartirà, anche a Venezia?
«Prima, ripeto, bisognerà capire quando ne usciamo e come e se ci saranno economie più colpite delle altre. Ci sarà, questo è evidente, una spinta sempre pià forte alla digitalizzazione. Il lavoro e l’insegnamento a distanza che stiamo imparando forzatamente ad utilizzare in fretta, con una specie di “salto” tecnologico accelerato di tutta la popolazione ci accompagneranno anche dopo. Mettendo forse in discussione anche la spinta demografica verso le città di questi ultimi decenni, perché l’idea di un centro, con le nuove tecnologie che ci mettono in contatto subito anche a distanza, diventa molto meno determinante. Ma anche settori commerciali come le vendite on line avranno un grosso impulso, Amazon è una delle aziende che in questo momento, ad esempio, in piena crisi, sta assumendo».
Da sindaco di Venezia, lei lanciò il progetto di Venezia città dell’immateriale, pensando proprio alle nuove tecnologie compatibili con una città come la nostra per portare imprese e lavoro legate al settore. Perché non andò bene?
«Perché i tempi non erano ancora maturi, anche se io ci credevo. La Sip - l’azienda telefonica di allora - non era in gradi di fornire ancora la banda larga che in altri Paesi era già normale. Ma ora le condizioni anche tecnologiche sono cambiate e si potrà riaprire anche quel dossier, perché il potere attrattivo di Venezia resta intatto, se si creano le condizioni infrastrutturali perché si possano venire qui. Anche l’M9, il Museo del Novecento di Mestre, potrebbe giocare un ruolo, riqualificandosi in questa direzione, come un polo di comunicazione avanzata. Allora si pensava che anche le banche, il terziario avanzato, le istituzioni economiche potessero venire a Venezia e l’idea della metropolitana sublagunare - per la quale sono sempre stato attaccato - andava in qella direzione: consentire a chi veniva a Venezia per lavoro anche dall’estero di raggiungerla velocemente da Tessera e altrettanto velocemente ripartire. L’accusa era che avrebbe attirato più turisti, ma i turisti sono cresciuti esponenzialmente lo stesso, perché vengono - venivano - senza avere i tempi contati».
Altri dossier che si potrebbero riaprire?
«Quelli legati alla riqualificazione di Porto Marghera sfruttando anche l’affaccio sull’acqua. Venezia era uno dei porti europei su cui la Cina aveva puntato, ma anche qui non abbiamo mai creato le condizioni infrastrutturali e di navigabilità per attrarre questo tipo di investimenti. Bisogna pensare Venezia sotto un’altra scala».
Cosa intende dire?
«Io sono nato qui, ma bisogna smetterla di dire che è veneziano solo chi vive nella città storica e non, ad esempio a Spinea. Venezia da sola certamente non si salva dopo questa crisi. Va ripensata in una scala metropolitana, che non è quella del territorio di quella che era la sua provincia, ma allargata almeno a quello che era il suo Dogado, a Padova e Treviso. Solo in questa chiave e con un sistema di trasporti adeguato si possono avere i servizi e le professionalità in grado di sostenere la città. Perché anche eccellenze culturali come la Biennale, se non arrivano più visitatori e presenze costanti, sono destinate inevitabilmente a sfiorire. Il patrimonio culturale e artistico di Venezia, la sua valenza ambientale sono certamente basi importanti, ma da sole non bastano più, specie in vista dei tempi difficilissimi che purtroppo ci aspettano». —
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