Inchiesta Palude, le parti civili presentano il conto. Casinò e Avm chiederanno i danni

Le due società partecipate stanno valutando la costituzione nel giudizio immediato contro l’ex assessore Boraso e tre imprenditori. Tra le parti civili anche il Comune di Venezia

Eugenio Pendolini
Il Casinò di Venezia: la partecipata pronta a chiedere i danni per l'inchiesta Palude Venezia
Il Casinò di Venezia: la partecipata pronta a chiedere i danni per l'inchiesta Palude Venezia

Non solo il Comune, come annunciato dallo stesso sindaco Brugnaro già due settimane dopo lo scoppio della vicenda. Ora nell’ambito dell’inchiesta Palude anche le società partecipate - Avm e Casinò di Venezia - stanno valutando la costituzione di parte civile per chiedere risarcimenti al danno d’immagine che dovesse essere, eventualmente, riconosciuto in sede di giudizio immediato richiesto disposto dal gip Alberto Scaramuzza a carico dell’ex assessore Renato Boraso e dei tre imprenditori (Francesco Gislon, Fabrizio Ormenese, Daniele Brichese).

Inchiesta Palude Venezia, spuntano nuovi indagati ed accuse
L'ex assessore Renato Boraso

Erano stati gli stessi pubblici ministeri titolari dell’inchiesta, Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ad individuare nella richiesta di giudizio immediato le partecipate del Comune quali «persone offese». E a tal proposito, l’avvocato Renzo Fogliata è già stato incaricato da Avm e da Insula per una eventuale rappresentazione in sede processuale: «La nomina è stata depositata. Se poi il Comune deciderà di procedere con la costituzione, valuteremo in quali termini e verso di chi».

Le accuse

Trattandosi di Avm e Casinò, i fatti per i quali le due partecipate potrebbero chiedere un risarcimento in sede civile riguardano gli episodi contenuti nelle carte dell’accusa. E per i quali a ottobre sono stati chiamati a rispondere in sede di interrogatorio il direttore generale del Casinò di Venezia, Alessandro Cattarossi e il direttore generale di Avm, Giovanni Seno.

Per tutti gli indagati si tratta delle accuse della Procura, sulle quali saranno le sentenze di giudici, Tribunali e Corti a decidere se archiviare, condannare o assolvere. Il primo è accusato dalla Procura di concorso in corruzione per aver accettato le pressioni dell’allora assessore Renato Boraso nel comunicare la percentuale di ribasso necessaria per far vincere alla Eco Green di Salvatore Turro la gara per i lavori di giardinaggio. Operazione fallita per un errore di calcolo dell’imprenditore.

A Seno, invece, la Procura contesta di aver accettato le pressioni di Boraso per assegnare l’appalto quadriennale per la pulizia degli uffici dell’azienda all’Open Service di Marco Rossini.

Ipotesi patteggiamento

Se l’atto con cui la Procura ha chiesto il rito immediato per quattro tra gli indagati svela le possibili parti civili, bisognerà vedere se il processo si terrà o se invece i difensori punteranno al patteggiamento. Nel qual caso, eventuali risarcimenti sarebbero demandati a un giudice in sede civile.

Certamente la posizione più difficile, al momento, è quella dell’ex assessore Boraso (difeso dall’avvocato Umberto Pauro): per patteggiare bisogna non solo restituire quanto viene contestato in tangenti (circa 750 mila euro, cifra contestata dalla difesa), ma anche pagare le spese legali, in quota parte. Si stanno facendo i conti, ma solo per le intercettazioni si tratta di milioni di euro. Il massimo patteggiabile è di cinque anni di pena. 

A Boraso vengono contestati 12 capi di imputazione di corruzione. Per fare un parallelo, al presidente della Liguria Giovanni Toti veniva contestata una sola accusa di corruzione e la pena patteggiata è stata di 2 anni e 3 mesi. Chiaro, quindi, che se non si dovesse raggiungere l’accordo sui cinque anni, per Boraso si aprirebbe la strada del rito abbreviato (con sconto di pena pari a un terzo). Si vedrà.

Chiusura indagini imminente

Così come cresce l’attesa per la chiusura ufficiale delle indagini, con la notifica a tutti gli indagati del cosiddetto 415 bis, atteso nelle prossime settimane.

In questi mesi, i pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo hanno approfondito e deciso di contestare nuovi capi di imputazione, coinvolgendo anche nuovi indagati iscritti di recente al registro, tra imprenditori e dipendenti pubblici, tra cui l’appalto “Calore” da 93 milioni di euro per gli uffici del Comune di Venezia, per il quale l’ex assessore Boraso si sarebbe dato un gran daffare per favorire l’impresa Mafra di Francesco Gislon.

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