Attacchi hacker e truffe con i bitcoin: tutte le scuse per truccare le fatture di Boraso
La segretaria di studio tenta di giustificare con i pm gli interventi sulla contabilità a copertura delle tangenti, poi crolla
Prima una truffa subita con i bitcoin, poi l’attacco degli haker. Tutte scuse, per giustificare fatture fatte e rifatte.
Dopo ore di interrogatorio davanti agli investigatori della Procura di Venezia, la verità arriva infatti dalle parole della segretaria di Renato Boraso, interrogata ad agosto dagli investigatori dell’inchiesta “Palude”: decine di fatture della Stella Consulting di Renato Boraso risalenti al 2017-2018 e sino al 2024 sono state rifatte, rimpolpate di documentazione, farcite di appuntamenti mai avuti con i clienti, che però avevano già pagato decine di migliaia di euro per consulenze in realtà mai redatte.
Salvo poi essere state in fretta assemblate con foto e grafici per farle apparire quantomeno verosimili pareri immobiliari, dopo che un giornalista di Report aveva fermato davanti al garage comunale Renato Boraso, per chiedergli conto dei 70 mila euro ricevuti dalla Falc, società riconducibile all’imprenditore Claudio Vanin (il grande accusatore dell’inchiesta Palude), che a quegli stessi microfoni aveva parlato di una “tangente”.
La reazione di Boraso era stata indignata, aveva annunciato querele e giustificato quei soldi come il corrispettivo per “cartoni” di relazioni immobiliare su immobili di pregio nel Veneto.
Ma subito dopo la messa in onda della trasmissione, tra gennaio e febbraio 2024, l’ex assessore ha costretto la sua segretaria a fare molto lavoro extra per cercare di dimostrare di aver davvero redatto consulenze immobiliari a favore della Falc come della Mafra di Francesco Gislon o della Tecnoflon di Danile Brichese (come l’ex assessore, agli arresti domiciliari e in attesa di patteggiamento), come pure a favore di altri imprenditori indagati dai pubblici ministeri Baccaglini e Terzo, nell’ambito dell’ormai nota “inchiesta Palude”.
Consulenze inesistenti e false fatture come copertura di tangenti è l’accusa che la Procura ha mosso e lo stesso Boraso infine sostanzialmente ammesso, in cinque interrogatori e due memoriali, dove dice di aver approfittato in maniera illecita dei suoi poteri di amministratore pubblico per cercare di agevolare il progetto di questo o quell’imprenditore-cliente.
La bugia sulla cripto-truffa
Sono le 15 del 27 agosto e la segretaria di Boraso - dopo ore in cui cerca di dare una spiegazione al tutto - alla fine racconta come sono andate davvero le cose: «Sono molto legata al signor Renato Boraso, in quanto mio datore di lavoro, verso il quale nutro da anni una forte gratitudine personale. È doloroso per me riferire circostanze che potrebbero nuocergli, ma ritengo di dover dire ciò che so, anche a rettifica di quanto esposto in precedenza», premette prima di raccontare i fatti.
L’interrogatorio era infatti iniziato con risposte “surreali” alle domande degli investigatori: «Le è mai stato chiesto da Boraso di predisporre a posteriori documentazione giustificativa alle fatture 7/2017-2018 emesse dalla Stella Consulting?», le chiedono.
E lei: «Sì, ho dovuto ri-redigerle a cavallo del 2022/2023 quanto Renato Boraso è stato truffato a seguito di un acquisto di cryptovalute. Abbiamo avuto un accesso fraudolento al Pc, in seguito al quale Boraso mi ha chiesto di rifarle».
Si tratta di due fatture intestate alla Falc, legata all’imprenditore Cluadio Vanin. Erano gli anni della trattativa tra lo staff di Brugnaro e quello del magnate Ching Chiat Kwing per la vendita dei Pili e dell’acquisto di quest’ultimo di Palazzo Donà e Palazzo Papadopoli. Per la Procura si tratta di una “tangente” per agevolare quell’affare, ma gli indagati respingono ogni accusa. Sul punto anche Boraso, dice di non aver nulla a che fare con la vendita dei Pili. Ma resta il “mistero” di quelle fatture emesse dalla Stella Consulting per una consulenza immobiliare che non sarebbe mai stata fatta. Se non a posteriori.
La puntata di Repor e Vanin
«Ricorda se è stata redatta documentazione a posteriori, magari successivamente alla messa in onda del programma Report?», chiedono gli investigatori alla segretaria.
Vanin era stato diretto nel dichiarare prima ai giornalisti - e poi a finanzieri e pm - che per i 73 mila euro pagati a Boraso non era stata svolta alcuna consulenza immobiliare, ma che i soldi sarebbero serviti per abbassare il prezzo di vendita di Palazzo Papadopoli (da 14 a 10,8 milioni) e invogliare così Ching a comprare anche i Pili per 150 milioni. Il magnate fece il primo, ma non il secondo acquisto.
La donna, ancora una volta, cerca prima una risposta plausibile: «È stato Boraso a dirmi di quella puntata, che non ho visto. Mi ha detto che era stato accusato di non saper fare il proprio lavoro».
Poi, dopo 13 pagine di verbale, la segretaria si ferma e cambia versione: «Le consulenze che c’erano le abbiamo sistemate, mentre altre sono state create ex novo. In alcuni casi ho dovuto integrare con dettagli ulteriori relazioni di consulenza che risultavano scarne. Ricordo di aver aggiunto dettagli di valutazioni economiche per la Falc Immobiliare. Boraso mi ha dato indicazioni perché fossero più corpose: abbiamo aggiunto la relazione di un hotel alla precedente, ritenuta troppo scarna».
I device nascosti e la «picolla mancia»
Nei vari passaggi dell’interrogatorio, la donna ha prima detto che «la cartella contenente le consulenze relative al Vanin è stata iniziata sul pc aziendale, salvata sull’hard disk e prima delle vacanze di Natale, ho iniziato a usare il mio pc a casa. Il giorno dell’Epifania Boraso è venuto a casa con delle minute dicendomi cosa fare e come completare. È stato Boraso a chiedermi di lavorare sul mio pc personale a casa. Le consulenze per Vanin sono state disposte a inizio 2024. In quel periodo Boraso era molto nervoso, ma non gli ho mai chiesto il motivo per evitare che mi aggredisse verbalmente, nel senso che poteva essere molto pesante, facendomi sentire in difetto».
Le intercettazioni lo hanno testimoniato. «Specifico che per la revisione di tutti questi documenti ho utilizzato il mio Pc personale. Se non sono lì, potrebbero essere su un device nascosto in ufficio o nel bagno ad uso promiscuo tra abitazione e ufficio. Tale comportamento mi è stato suggerito da Boraso, il quale non voleva che il figlio maggiore avesse accesso ai files più riservati».
«Per questa attività», conclude la donna, che non è indagata, «Renato Boraso mi ha corrisposto una piccola mancia extra, essendo stato un lavoro particolarmente gravoso in termini di impegno e tempo».
Le consulenze? Ricerche su internet
Sono state settimane intense di lavoro per la donna quelle seguite alla messa in onda di Report: non solo per il fascicolo-Falc. Oggi la Procura ha già contestato a Boraso 12 corruzioni a favore di altri imprenditori compiacenti, in cambio di favori per mandare avanti progetti o partecipare a gare d’appalto: tangenti “mimetizzate” da fatture, che in quei mesi sono state rimpolpate.
«Ha mai visto il dottor Boraso operare come consulente immobiliare?», chiedono gli investigatori alla segretaria, che risponde: «Non l’ho mai visto fare consulenza immobiliare, posso presumere che facesse da tramite tra domanda e offerta», «per le consulenze amministrative/immobiliari si arrangiava con il cliente, io ricopiavo appunti. Mi ha chiesto qualche volta di cercare e salvare studi sul mercato immobiliare, grafici e proiezioni relativi al territorio veneto, che inviavo alla segreteria del Comune perché lo stampassero. Ultimamente, nella prima metà del 2024 mi ha chiesto di scaricare personalmente da Internet documentazione relativa al mercato immobiliare di Udine: ho fatto un mero copia-incolla di alcuni articoli di giornale e salvato tutto sul pc aziendale».
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