Palazzetto Balbi, battaglia per farlo diventare un hotel

VENEZIA
La Canalgrande Srl ha comprato per 6,3 milioni di euro dalla Regione Palazzetto Balbi a San Marco. Obiettivo: fare dell’ex sede del Genio Civile l’ennesimo hotel. Era il 16 giugno del 2017 e la Regione era riuscita a vendere il palazzo piuttosto agevolmente proprio perché tra le sue destinazioni urbanistiche - indicate nel “Piano delle valorizzazioni” - era compresa anche quella turistico-ricettiva. Ma proprio in coincidenza con il rogito e la presentazione della domanda di concessione edilizia, il Comune aveva approvato la delibera che ha posto “l’alt” al cambio di destinazione d’uso dei palazzi veneziani, in una città già inflazionata di strutture ricettive. Così in una Venezia che oggi sembra lontanissima nel tempo - dove pure era proseguita l’apertura di nuovi alberghi, con concessioni edilizie precedenti alla data della delibera (o in deroga) - lo stop ai progetti della Canalgrande era stato irremovibile e la società si è ritrovata con un milionario palazzo vuoto a dar lavoro ai legali. Ne è nata una battaglia giudiziaria amministrativa tra la proprietà da una parte, Comune, Regione e Agenzia del Demanio dall’altra, che ora approda al Consiglio di Stato. La vicenda è singolare: se da una parte riguarda il mercato pubblico dei beni, che si vendono solo se resi appetibili dalla destinazione ricettiva (almeno nella Venezia pre-Covid), dall’altro la “querelle” è anche questione di giorni. Anzi, di ore. Perché lo stesso 16 giugno 2017 - mentre la Canalgrande perfezionava l’acquisto - il Consiglio comunale ha “adottato” la delibera di giunta che ha bloccato i cambi di destinazione d’uso a strutture ricettive ed alberghiere.
Variante al Prg poi definitivamente approvata dal Consiglio, il 12 aprile 2018. Nel mentre - il 29 giugno - la proprietà aveva presentato domanda di ristrutturazione in hotel: dopo una lunga istruttoria, era arrivato il “no” del Comune, seguito dall’immediato ricorso al Tar (patrocinato dall’avvocato, ex sindaco, Giorgio Orsoni), con la società a rivendicare di aver acquistato il palazzo, proprio perché nel piano delle alienazioni regionale era indicato con destinazione turistico-ricettiva. In primo grado, i giudici del Tar hanno respinto il ricorso, sostenendo che «in materia urbanistica, non vige un principio generale di tutela dell’affidamento dei privati sulle prescrizioni pianificatorie generali che interessino beni di loro proprietà. La pretesa al mantenimento di una determinata destinazione urbanistica è una mera aspettativa, liberamente sacrificabile in nome delle più ampie scelte di governo del territorio che il Comune intenda perseguire, purché tale sacrificio sia con esse coerenti». «Soltanto il concreto uso dell’edificio, preesistente all’adozione di varianti urbanistiche», concludeva il Tar, rende la proprietà immune da possibili diverse scelte pianificatorie». Ora l’appello. Ieri - «ritenuto che la controversia presenta caratteri di complessità e di novità» – il Consiglio di Stato ha concesso la temporanea sospensione della sentenza, fissando d’urgenza l’udienza di merito per il primo trimestre 2021. —
Roberta De Rossi
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