Palais Lumière, il piano di Cardin per mandare il conto a Roma

In ballo 11 milioni investiti ma la questione è diventata un punto d’onore per il creatore di moda che vuole dimostrare l’inesistenza del vincolo ambientale con cui il Ministero ha bloccato il progetto
Dall’inviato Ugo Dinello

È il momento di passare la parola ai legali. Dopo il blocco della sua torre di vetro che avrebbe dovuto sorgere a Porto Marghera, Pierre Cardin, il maestro dell’alta moda internazionale, tiene aperta la porta a interventi di altre cordate, ma, oltre a tirarsi fuori, avvia la manovra per rientrare almeno di una parte dell’enorme investimento fatto: 11 milioni di euro spesi per l’opzione sull’acquisto dei terreni su cui doveva sorgere il Palais Lumière.

Perché quello che proprio non è andato giù al plurimilionario italofrancese, nato 91 anni fa a San Biagio di Callalta (Treviso) è il modo con cui il Ministero dei Beni culturali ha agito. «Un vincolo ambientale», spiega Cardin, «su Porto Marghera per bloccare un’opera unica, assolutamente non speculativa, visto che io non ci avrei guadagnato nulla e l’ho dimostrato? Un’opera che anzi sarebbe stata un unicum con l’azione di bonifica e rilancio di un’area disastrata come Porto Marghera? Io sono ambasciatore onorario dell’Unesco, potrei deturpare un paesaggio? E l’azione di rilancio della zona non avrebbe avuto un volano nel Palais?».

Tanto più che da Roma, sottolinea, nessuno l’ha contattato: «Otto mesi fa ho chiesto una spiegazione, nessuno mi ha risposto. Nessuno ha avuto il tempo di spiegare perché era stato posto un vincolo ambientale in un posto di industrie abbandonate e aree inquinate».

Ora l’azione dei manager del gruppo che fa capo a Pierre Cardin, stanno mettendo in campo una strategia basata su tre azioni.

La prima è chiudere le società create in Italia espressamente per seguire il progetto, azzerando ogni spesa societaria. Una mossa scontata, già ordinata da Cardin sabato mattina.

La seconda è sondare eventuali interessi di cordate a riprendere in mano il progetto. Una cosa annunciata al gruppo “SIamo Palais Lumière” arrivato a Stia, in provincia di Arezzo per consegnargli una riproduzione in vetro del Palais opera dei maestri vetrai.

La terza però, è stabilire se il vincolo era reale. E soprattutto se questo vincolo, una volta appurata l’inesistenza delle ragioni che l’hanno emesso, ha creato un danno. Non solo: se il vincolo venisse annullato si riaprirebbe la possibilità di vedere un’altra cordata disponibile a realizzare il progetto

La regìa dell’operazione è affidata all’avvocato Sandro De Nardi, 42 anni, brillante docente di Giurisprudenza all’Università di Padova.

Il gruppo Cardin, insomma, mette tutta la sua potenza «per continuare ad agire con sincerità», e quindi per fare chiarezza e mandare il conto a chi avrebbe, secondo la visione del creatore d’alta moda, agito in modo sbagliato, comunque modificando le regole del gioco e imponendone di assurde a partita già iniziata. Un’azione che, secondo molti osservatori, andrà avanti “come un rullo” perché in ballo non ci sono solo i soldi, visto che Cardin si è “sentito trattare come un mendicante”.

E che il gruppo Cardin possa attendere anche i tempi lunghi di giudizio amministrativo e civile, lo dimostra la consistenza del patrimonio, strutturato in una maniera tale da essere esente dall’andamento della crisi finanziaria e di essersi diversificato specialmente nella gestione di enormi proprietà terriere.

Basti pensare che solo in Francia Cardin dispone di appezzamenti enormi. l’esempio viene dall’intero borgo di Lacoste, in Provenza, acquistato da Cardin assieme a tutte le sue cave in pietra. Se già tre anni fa Cardin aveva un patrimonio personale di 600 milioni di euro, negli ultimi anni poi il gruppo ha macinato utili impressionanti e solo il marchio di moda è presente in franchising in oltre 100 paesi.

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