«Otto voli al giorno con turisti islamici, moschea necessaria a Venezia»
VENEZIA. «Venezia è uno dei pochi capoluoghi che non ha un fazzoletto di terra dove i musulmani possono pregare. Non vogliamo una struttura enorme, chiediamo solo un indirizzo, un modo per dire: ti riconosco».
Mohammed Amin Al Ahdab, presidente emerito della Comunità Islamica di Venezia e Provincia, abita in città dall’84. Oggi parteciperà all’incontro organizzato dal Comitato promotore della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico alla scuola dei Calegheri. «Un’esigenza sociale», così definisce la richiesta di un luogo di culto in centro storico: «Arrivano otto voli giornalieri da paesi islamici: mettiamo che anche un quarto di loro siano praticanti, parliamo comunque di migliaia di persone. È una carenza, non un lusso che vogliamo ottenere. Sarebbe un modo per far capire che Venezia è una città tollerante e aperta al dialogo. Riceviamo chiamate per chiederci: dove siete? Marghera, per i turisti che arrivano a Venezia, è un posto sconosciuto».
Per Al Ahdab non si tratta di una “sfida”, perché l’obiettivo è quello di avere una città completa di tutte le sue funzioni. «Dietro supposte violazioni di norme urbanistiche», aggiunge il presidente Della Comunità islamica di Venezia e provincia Sadmir Aliovski, «si finisce col nascondere espressioni di islamofobia che portano a chiudere luoghi di culto funzionanti da oltre vent’anni che sono diventati punto di incontro e di integrazione».
L’appello per consentire l’apertura di un luogo di culto è stato inviato al presidente della Regione Luca Zaia, al prefetto Vittorio Zappalorto, al sindaco Luigi Brugnaro, che la comunità non ha mai incontrato formalmente. Il tema è di quelli che scottano e che viene riproposto ad ogni Ramadan e Festa del sacrificio. Ed è quello del diritto a un luogo di culto.
La Comunità islamica nell’ambito del dialogo interreligioso, ripropone con forza il problema. A Mestre di recente sono state chiuse in più occasioni due moschee bengalesi. «Oggi parliamo di garage o scantinati», chiude Amin Al Ahdab, «non certo centri dignitosi dove esprimere la nostra fede. Noi siamo italiani, abbiamo bisogno di uno spazio decente per pregare».
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