Osservatorio ambiente e legalità risultati sì, ma rischia la chiusura

Ha prodotto dossier e studi che hanno permesso di scoprire illeciti e scandali ma costa 48 mila euro all’anno, troppi per la giunta. Già chiuso il web. Raccolta firme per salvarlo e appello di Legambiente
Di Paolo Coltro

Una stanza in prestito all’Informagiovani a Villa Franchin e dentro due persone: fin dal gennaio 2012 quello è stato il cuore e la mente dell’Osservatorio ambiente e legalità di Venezia. Una filiazione di Legambiente, sostenuta dal Comune con un contributo annuo di 48 mila euro: ma quanto hanno fruttato quei soldi assegnati dalla giunta Orsoni. Ricerche, analisi, documenti, convegni, pubblicazioni per scoprire un Veneto pericolosamente pregno di illegalità, un faro puntato sulle distorsioni dell’economia e della politica, e i relativi riflessi sul vivere civile.

Rischio. Un lavoro tangibile e prezioso che rischia di interrompersi: già il commissario Zappalorto aveva tagliato i fondi. Dall’aprile 2014 l’Osservatorio è andato avanti con le sue sole forze: Gianni Belloni, il coordinatore, giornalista, e Cristina Boldrin, arrivata come servizio civile e capace di costruire il sito sul web. Poi è rimasta per entusiasmo per una manciata simbolica di euro.

Niente soldi. Potrebbe finire tutto perché l’altro giorno la segreteria dell’assessore all’Ambiente, Massimiliano De Martin, ha comunicato che «non ci sono soldi». Con l’assessore c’era stato un incontro a settembre, per un filo di speranza: ma il filo è stato spezzato.

Appello. Dall’Osservatorio, per bocca di Gianni Belloni, parte ora un appello-considerazione: «Basterebbe un emendamento al bilancio in discussione in questi giorni per continuare a vivere. Ci rendiamo conto della situazione finanziaria, l’avevamo già capito ai tempi di Zappalorto, ma l’Osservatorio produce materiali utili per l'amministrazione e la collettività».

Raccolta firme. È partita una raccolta di firme: che magari non è massiccia ma qualitativamente alta. La apre Nando Dalla Chiesa e poi via via docenti universitari, qualche parlamentare, giornalisti di fama, anche funzionari dell’Arpav. E, curioso, un folto stuolo di prof dell'Università di Napoli Federico II: perché loro di mafia e camorra se ne intendono, la studiano. E contro mafia, corruzione, traffico di rifiuti, distruzione dell'ambiente, illegalità imprenditoriali e politiche l'osservatorio ha messo in piedi e reso pubbliche analisi puntuali.

Dossier importanti. Tanto per intenderci, non vaghi discorsi ma un’attenta descrizione, spesso rivelazione, di fenomeni: con dati, cifre, nomi, luoghi. I dossier pubblicati sono entrati nel vivo delle molte distorsioni che in molti per anni hanno finto di non vedere. A cominciare dal controllo delle organizzazioni criminali sul ciclo del cemento «mettendo in luce le dinamiche istituzionali ed amministrative che favoriscono tale operatività»; e poi il mondo dei rifiuti, o meglio del traffico dei rifiuti, quelli finiti sotto le nostre autostrade; e ancora i dossier sull'insediamento della 'ndrangheta in provincia di Verona, sulla corruzione indotta dalle mafie o più semplicemente dalla politica. Il dossier sulla Commissione per la Valutazione d'impatto ambientale (Via) aveva fatto emergere il clamoroso caso di Fabio Fior, funzionario regionale poi condannato a tre anni. L’Osservatorio ha prodotto anche i “Quaderni”, e se uno è dedicato al traffico dei rifiuti, gli altri tre si occupano di corruzione e di dark economy, cioè dei legami tra soggetti criminali e politica.

Mose. Assieme ad alcuni giornalisti d’inchiesta, l’Osservatorio ambiente e legalità per primo aveva analizzato tutta la complessa operazione Mose, anticipando quello che sarebbe diventato uno scandalo superiore a Tangentopoli. L’Osservatorio ha lavorato anche con l’ex assessore provinciale all’Ambiente Paolo Dalla Vecchia: «La nostra attività non è figlia di questa o quella giunta», dice Gianni Belloni. Oltre alle analisi, risultati pratici: come quella volta che l’Osservatorio denunciò che quella che stava facendo una bonifica a Carbonera era una ditta con interdittiva antimafia. Tutto materiale pubblicato, distribuito, discusso in convegni e riunioni pubbliche.

Sito chiuso. Finirà quindi tutta l’attività di analisi e divulgazione? Un brutto segno c’è già stato: da due mesi è chiuso il sito web, che tutti questi materiali rendeva disponibili. L’appello per il salvataggio appare sul sito di Legambiente, ma deve raggiungere il consiglio comunale. 48 mila euro sono lo stipendio lordo di un impiegato, ed è impensabile pensare ad una produttività simile. Mantenere in vita l’Osservatorio, oltre che una scelta civica e politica, è un buon affare.

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