Ortalli: "La quarantena, ultima occasione per cambiare lo sviluppo di Venezia"
VENEZIA. «Con il coronavirus viviamo una situazione drammatica a livello mondiale che non sappiamo ancora dove ci porterà e quando finirà e che per Venezia equivale a una quarta “peste” che ha colpito la città dopo quelle del 1348, del 1577 e del 1630. Ma, nella tragedia, questa situazione ci offrirà forse l’ultima occasione per cercare di cambiare il modello di sviluppo di Venezia, sfuggendo alla monocultura turistica che la riempiva di visitatori e la desertificava di abitanti. È molto difficile, ma abbiano almeno il dovere di provarci».
Il professor Gherardo Ortalli, presidente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, è sicuro che anche per il turismo a Venezia dopo il coronavirus niente sarà come prima, e che sia arrivato il momento di “ripensare” la città.
Professore, perché ne è sicuro?
«Perché entreremo in una fase completamente nuova, con i forti interessi di carattere economico legati al turismo in questa città, fino a condizionarne ogni scelta in altra direzione, che usciranno fortemente provati da questa crisi. Certo, il tentativo di riproporre lo stesso sistema di monocultura turistica per Venezia ci sarà, ma quel modello è finito, la cosiddetta rendita di posizione non esisterà più come la conosciamo, con il turismo che sarà necessariamente fortemente limitato per anni. Pensiamo al fenomeno degli alloggi turistici che probabilmente verrà spazzato via da questa crisi sanitaria e dalle sue conseguenze, con un patrimonio di abitazioni da usare diversamente. Per questo, anche per Venezia bisognerà ragionare diversamente, a “ripensarla” come città, con una sua comunità».
L’immagine di Venezia deserta per l’emergenza virus, ma anche bellissima nelle sue architetture e rigenerata dal punto di vista ambientale, sta facendo il giro del mondo.
«Quella Venezia c’era anche prima, solo che non la vedevamo perché letteralmente sommersa dalle presenze turistiche e dal traffico acqueo. Si tratta ora di tornare a un modello di città che non rinunci certo alle sue attività economiche, ma non le esaurisca con il turismo. Venezia deve tornare a vivere per se stessa e non solo come “vacca da mungere” per l’entroterra metropolitano che si alimentava indirettamente delle presenze turistiche che la popolavano e che come le conosciamo non torneranno, almeno per parecchio tempo. A Venezia da tempo non c’è più alcun modello di sviluppo, a parte la resa senza condizioni al turismo. Si tratta di provare a svilupparlo, tenendo anche conto dei suoi abitanti».
Quello del turismo non è un modello di sviluppo?
«No, non c’è nessun governo del fenomeno. E nessuna idea della città. La Venezia sviluppata dagli industriali negli anni Venti e Trenta del Novecento, con lo sviluppo del polo di Porto Marghera, aveva comunque un’idea di città alle spalle, comprensibile al tempo. Ora non è più così da molti anni».
Quando immagina un altro modello di sviluppo per Venezia, a che cosa pensa?
«Alle attività che le sono connaturate. La cultura declinata nei suoi vari aspetti, l’ambiente, le attività legate al mare e all’artigianato che le sono proprie, oltre naturalmente alla sua natura di città universitaria e sede di istituzioni nazionali e internazionali. Si può avere un turismo diverso legato anche a questo modello, creandone le condizioni. Sono perfettamente consapevole che non è semplice reinventarsi come città, ma l’occasione c’è anche perché questa situazione tragica innestata dal virus ci ha improvvisamente restituito una Venezia libera anche da tutte le pressioni e dai condizionamenti legati solo al turismo. Si tratta di ritrovare non l’immagine di Venezia, ma la sua vera struttura, che non può essere solo quella di valvola di sfogo economica per l’area metropolitana. Non nel modo in cui l’abbiamo vista fino ad oggi, almeno. Si tratta di ritrovare anche un senso di comunità, che è in parte venuto meno in questi anni. Bisogna che ci sia anche consapevolezza da parte della gente della necessità di un cambiamento nel momento in cui comunque la necessità di trovare una nuova dimensione di città è imposta anche dalla situazione eccezionale che stiano vivendo e che non sappiamo ancora quando si concluderà e in che condizioni ci lascerà, a livello mondiale, europeo, ma anche veneziano. Per questo ritengo che, nonostante tutto, un’occasione concreta di mutamento ora per questa città ci sia. Sarebbe un errore imperdonabile non tentare, perlomeno, di invertire la tendenza che la sta spopolando». —
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