Orsoni sulla tesoreria unica: «Presentato ricorso in tribunale»
VENEZIA. E' stato depositato in tribunale a Venezia il ricorso cautelare contro il governo da parte del Comune lagunare sulla questione della Tesoreria Unica. Un ricorso che era stato deliberato dalla Giunta dieci giorni fa e che oggi l'avvocato civico del Comune, su mandato del sindaco Giorgio Orsoni, ha depositato. L'avvocatura civica ha comunicato al Tesoriere (la Cassa di Risparmio di Venezia) dell'azione, invitandolo a non procedere con il trasferimento in ragione di un imminente pronunciamento del giudice.
L'articolo 35 del decreto legislativo ''Salva Italia'' ha disposto che i tesorieri o i cassieri dei Comuni debbano provvedere entro domani, 29 febbraio, a versare il 50% delle disponibilità liquide esigibili presso la Tesoreria statale. La seconda parte della ''cassa'' di ogni Comune dovrà essere trasferita allo Stato entro il 16 aprile di quest'anno. La risposta, annunciata, del Comune di Venezia e del suo sindaco a quanto previsto dal decreto è stata l'azione legale che vuol difendere l'autonomia degli enti locali, un principio costituzionalmente garantito, e dunque mira ad un pronunciamento del Tribunale civile veneziano affinche' ordini alla Tesoreria di non trasferire la cassa comunale.
Orsoni, che è anche coordinatore delle città metropolitane in sede Anci, comunicherà domani alla prevista assemblea generale a Roma la strategia del Comune di Venezia. La delibera approvata dalla Giunta veneziana è stata nel frattempo presa a modello dagli altri enti locali e distribuita quale azione di intervento. «E' compito dei sindaci difendere l'autonomia dei Comuni garantita dalla Costituzione - ha spiegato Orsoni - perché i Comuni sono i primi a rappresentare la Nazione, gli unici ad indossare il tricolore, e meritano rispetto. Obbligarci a trasferire le tesorerie presso la Ragioneria dello Stato, significa calpestare questi principi, un insulto alla nostra autonomia. Il provvedimento - ha concluso - manifesta una visione centralistica dello Stato che non possiamo accettare».
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