Ori etruschi e minacce all’ombra dei Casalesi, tra Eraclea e Vicenza

VENEZIA. Una compravendita di antichi gioielli etruschi: un affare da 750 mila euro, non fosse che i monili sarebbero risultati falsi, con seguito di minacce di regolamento di conti.
Emerge anche questo singolare episodio dalle migliaia di carte dell’indagine coordinata dal pm Roberto Terzo sul clan dei Casalesi di Eraclea. Una storia che non è finita nell’ordinanza cautelare, ma si trova tra gli atti della Procura.
Una vicenda davvero unica, per l’intreccio dei nomi, in un Veneto dove “tutto si tiene”. Protagonisti ne sono l’imprenditore vicentino dell’acciaio (che non è indagato) Michele Amenduni, vicepresidente del colosso Valbruna Group; Simone Faè, che le carte descrivono come fidato faccendiere del boss Luciano Diodato, ma anche come amico di Amenduni e importatore di ferro dallo Zimbabwe, venduto poi all’acciaieria vicentina; il traider Fabio Gaiatto, ora sotto processo per aver truffato migliaia di risparmiatori per decine di milioni di euro; e lo stesso Diodato, qui nelle vesti di “minaccioso paciere”.
Siamo nell’estate del 2017. Secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza, l’imprenditore vicentino decide di vendere una collezione di antichi gioielli, acquistati a suo tempo dal padre: a comprarli per 750 mila euro - per tramite di tal “Bruno” - è il broker Gaiatto.
Amenduni è certo che si tratti di gioielli etruschi autentici, ma Gaiatto fa fare un’expertise e sostiene che non lo siano affatto. Si ritiene truffato: prende di mira Faè, gli blocca i 7 milioni che l’uomo dalle mille-vite aveva investito con lui e lo minaccia di inviare a Vicenza delle persone napoletane per dare una lezione. Per tutta reazione Faè chiede aiuto a Donadio, che - scrive il pm Terzo - «offre di mettersi a disposizione con la potenza intimidatoria del suo sodalizio mafioso».
Il messaggio arriva forte e chiaro a Gaiatto, ottenendo - scrive Terzo - «non solo che recedesse da qualsiasi intento minaccioso verso l’Amenduni, ma anche si impegnasse a sbloccare i crediti di Faè». Secondo la Procura, sarà poi lo stesso boss camorrista a presentarsi alle acciaierie e a ottenere - con un incontro cordiale - che Gaiatto venga risarcito dei soldi, più gli interessi.
E i gioielli? Non tornano a Vicenza: 40 pezzi sono trattenuti da Donadio e un complice, tre restano a Faè, che dopo aver cercato acquirenti in tutt’Europa, chiude l’accordo con un collezionista fiorentino. Non fosse che la Polizia lo blocca in stazione. In valigia: un calice dorato con guerrieri e scudi; un bracciale; una navicella portaincenso.
In serata, una nota dalle Acciaierie Valbruna: «Si precisa che Michele Amenduni non ha mai intrattenuto rapporti di affari né di altra natura con Fabio Gaiatto, né ha mai ricevuto intimidazioni o minacce». —
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