«Ora la Cittadella della solidarietà non è più un sogno»
MESTRE. Un milione e 400 mila euro per la Cittadella della solidarietà. A chi lasciare il proprio denaro se non a una persona di cui ti fidi ciecamente? Don Armando Trevisiol, 87 anni e una lucidità invidiabile, si è conquistato con le opere e il sudore della fronte la fama di quello che i miracoli li realizza, che non lascia i cantieri impiantati come i politici. Quando all’inaugurazione del Don Vecchi numero 6 aveva detto dal palco di aver lasciato la strada segnata per la futura opera che lui aveva a cuore, ossia il centro direzionale per le attività caritative, in tanti non avevano capito cosa intendesse. Questo perché sulla questione c’era ancora un po’ di riserbo. «È una notizia fresca di un paio di settimane», spiega. «La donazione è stata fatta da una coppia anziana di Mestre, per ora non dico il nome perché non ricopro una posizione e sto attento a non sbilanciarmi, ma penso che presto salterà fuori. I due coniugi avevano fatto una sorta di testamento che lasciava il patrimonio dell’uno all’altro, e l’ultimo che se ne fosse andato lo avrebbe lasciato alla Fondazione Carpinetum onlus (aiuta le persone indipendentemente dalla loro provenienza e dal loro credo, ndr) come io avevo suggerito. La moglie è mancata un paio di anni fa, il marito da un mesetto. Questa coppia ci ha donato quanto aveva: l’abitazione dove risiedeva e il denaro messo da parte, soldi in contanti».
Il suo prossimo sogno si realizza?
«Con questo lascito cominciamo a pensare seriamente alla Cittadella della solidarietà, un progetto che avevo messo da parte: questi soldi non bastano, ma sono abbastanza per cominciare. Quando è stato inaugurato l’ultimo Don Vecchi avevo detto che, dati i miei quasi novant'anni, mi ero rassegnato a lasciare in eredità ai posteri il sogno di realizzare una struttura polivalente per dare consistenza al progetto della carità. Senonché è arrivata questa insperata donazione da parte di una persona che aveva una fiducia tale in me da lasciarmi ogni suo avere. Io ho suggerito di scegliere i centri don Vecchi. Grazie a questa donazione ho deciso di non perdere l’occasione per impegnarmi su questo progetto. Nei giorni precedenti il taglio del nastro avevo scritto una lettera formale ai membri del cda della Fondazione Carpinetum, in maniera scherzosa, dove dicevo loro: “Vi faccio la donazione di questo progetto, datemi una risposta, altrimenti chiedo a qualcuno altro”».
Di eredità nella sua vita, ne ha ricevute tante, la penultima sono i 650mila euro della famiglia Saccardo per il Don Vecchi 6.
«Questo finora è il lascito più grosso, ma tanti anni fa una donna mi donò un miliardo di lire. Me la ricordo ancora. Aspettava in canonica, l'ho fatta attendere tre quarti d'ora: mi ha detto che voleva lasciarmi un miliardo. Dopo poco è andata in vacanza in Polonia e la sera stessa in cui è tornata ha fatto un infarto ed è morta. Aveva redatto il testamento abbastanza male, ma la sua volontà era chiara. Il fratello commercialista aveva tentato di invalidare il testamento, allora la Curia mi diede un avvocato e grazie a lui ricevetti tutti i soldi fino all’ultimo centesimo. Con il denaro della donna realizzammo il Don Vecchi 2. Un’altra volta dopo un funerale venne una signora con il marito industriale: mi donarono, sempre per il Don Vecchi 2, 250 milioni di lire».
Ha costruito un impero per le persone fragili...
«Oggi sono 500 gli anziani e le persone meno fortunate che godono di questa opportunità. A Mestre ci sono 410 appartamenti e questo mi rende felice, perché penso che dureranno altri cinquanta, sessant'anni. Ora mi trovo a pensare: vuoi vedere che se le cose andranno per il giusto verso e se il Signore avrà ancora un po’ di pazienza a mandarmi la cartolina di precetto avrò anche la grazia di vedere questa lungamente sognata Cittadella della solidarietà?».
Ci sono tante persone in città che hanno denaro?
«C’è tanta gente che ha soldi e tanta che li lascia ai parenti che poi litigano tra di loro per averli».
Nel penultimo Incontro, il foglio della Fondazione, lei parla di testamenti e racconta di suo padre, falegname, che le lasciò non denaro, bensì la fissazione per il lavoro.
«Mio papà era casa e bottega, quello che mi ha lasciato era un patrimonio ideale».
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