Opere d’arte scomparse, via al processo

L’impresario della ditta di trasporti accusato di essersene appropriato dopo il fallimento della San Marco casa d’Aste
20.03.2006.- ESPOSIZIONE NELLA SALA DA BALLO. CA' REZZONICO.- INTERPRESS/TANTUCCI
20.03.2006.- ESPOSIZIONE NELLA SALA DA BALLO. CA' REZZONICO.- INTERPRESS/TANTUCCI
Un Cristo crocifisso in terracotta dello scultore tardo rinascimentale Francesco da Sangallo e un olio su tavola “Lot e le figlie” del pittore fiammingo Frans De Vriendt. Una scultura in terracotta che raffigura San Giacomo del padovano Giovanni Minelli De’ Bardi e un Sant’Onofrio intagliato dal veronese Giovanni Zabellana. E poi vari quadri di formati e tecniche differenti, oltre ad alcune sculture attribuite ad autori minori o scuole di artisti: ventinove opere in tutto - del valore stimato di circa 700-800 mila euro - per le quali è finito a processo, con l’accusa di appropriazione indebita, Mario Gaiotto, 65 anni di Marcon, titolare dell’omonima ditta con sede a Malcontenta, in via della Fisica, specializzata da più di quarant’anni nei trasporti di opere in Italia e all’estero, in traslochi e intermediazioni d’arte. Ieri, davanti al giudice monocratico Andrea Battistuzzi, è stata celebrata l’udienza filtro del procedimento a carico dell’imprenditore, citato direttamente a giudizio. La prima udienza dell’istruttoria verrà celebrata a gennaio del prossimo anno.


Stando alle accuse formulate dalla Procura nei confronti di Gaiatto, difeso dall’avvocato Giuseppe Liguori, l’imprenditore, in qualità di titolare della ditta, si è appropriato delle 29 opere d’arte che facevano parte del lotto “Glass House” di proprietà temporanea della “San Marco Casa d’Aste spa” (difesa dall’avvocato Roberto Zanata), dichiarata fallita dal tribunale di Venezia nell’aprile del 2010. Gaiatto era in possesso delle opere in qualità di depositario e custode delle stesse ma in realtà, stando all’accusa, se ne sarebbe appropriato. Di qui l’imputazione dettagliatissima con l’elenco delle 29 opere che saranno materia del processo che entrerà nel vivo il prossimo anno con la fase istruttoria. Nel capo d’imputazione è riportato anche un valore, frutto di una stima, dei quadri e delle sculture provenienti dal fallimento della famosa casa d’aste del centro storico che l’imprenditore Gaiatto avrebbe fatto sparire: tra i 700 e gli 800 mila euro.


Sempre secondo le accuse mosse dalla Procura lagunare, l’imprenditore di Marcon si sarebbe impossessato, sempre in virtù del suo ruolo, anche di tre piatti compendiari in maiolica bianca che aveva consegnato a una terza persona, oltre che di un televisore LD20, una fotocopiatrice multifunzionale Canon, una sega circolare Bosh, tutti beni che appartenevano alla “San Marco Casa d’Aste”.


A partire dalla prossima udienza inizierà la sfilata dei testimoni citati dalle parti che riferiranno davanti al giudice Andrea Battistuzzi quanto conoscono sui fatti contestati all’imprenditore attivo nel settore del trasporto delle opere d’arte. Nel corso del dibattimento, la difesa dell’imputato cercherà di dimostrare l’insussistenza del quadro accusatorio che la Procura gli contesta.


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