Operaio morto sul lavoro, tre condanne

Maerne. Albanese di 48 anni ucciso dal crollo di un muro, dieci mesi ciascuno a tre imprenditori per omicidio colposo
BORIN ZERO BRANCO RIP. FOTO MUSTAFA' MECO DECEDUTO INCIDENTE SUL LAVORO AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM
BORIN ZERO BRANCO RIP. FOTO MUSTAFA' MECO DECEDUTO INCIDENTE SUL LAVORO AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM
MAERNE. Sono passati quasi dieci anni da quel 7 luglio 2008 quando Mustafà Meco, 48 anni, operaio albanese che viveva a Zero Branco, nel Trevigiano, perse la vita travolto da un muro in un cantiere a Maerne di Martellago. Dopo un processo durato tre anni tra udienze, consulenze, testimoni ascoltati in tribunale, ieri mattina la giudice monocratica Sara Natto ha pronunciato la sentenza, accogliendo le richieste formulate dalla pubblico ministero Carlotta Franceschetti per omicidio colposo in concorso a carico di tre dei quattro imputati, pur riducendo le pene. Gli imprenditori Adriano Viola, 57 anni di Conselve (avvocati Giovanni Scudier e Lucia Casella), Angelo Pavanello, 79 anni di Martellago, della “Pavanello Costruzioni Edili” (avvocati Silvia Trevisan e Giovanni Cesari), e Franco Rizzato, 64 anni di Preganziol (avvocato Luigi Fadalti) sono stati condannati a 10 mesi di reclusione ciascuno (la pubblico ministero aveva chiesto 1 anno e 2 mesi), con sospensione della pena subordinata al pagamento in solido, entro sei mesi, di una provvisionale. La giudice Natto ha disposto un risarcimento complessivo di 50mila euro per la moglie di Meco e di 25mila euro ciascuno per i due figli dell’operaio. La liquidazione del danno dovrà invece essere determinata in un eventuale procedimento in sede civile.


Assolto invece per non aver commesso il fatto, così come aveva chiesto la pubblico ministero, Diego Fassina, 59 anni di Martellago, della “Rizzato Wellpoint srl” (avvocato Federica Coghetto). La giudice si è presa 90 giorni per depositare le motivazioni della decisione.


Mustafà Meco, capitano d’aviazione arrivato in Italia per dare un futuro alla propria famiglia, era dipendente della “Rizzato Wellpoint”. In quella giornata di luglio stava lavorando nelle vicinanze di un muro, lungo dieci metri e alto due, che all’improvviso era crollato. L’operaio era rimasto sepolto sotto i mattoni e i calcinacci. I soccorritori erano riusciti a estrarlo vivo dalle macerie dopo un’ora e mezza sembrata eterna, ma necessaria per fermare le emorragie alle gambe. Ma il cuore del 48enne aveva smesso di battere l’indomani.


La pubblico ministero nel corso del dibattimento ha sostenuto come il muro avrebbe dovuto essere rinforzato o comunque puntellato in modo da evitare crolli prima che gli operai procedessero con qualsiasi altro intervento. Invece si era proceduto con la palificazione attorno al muro che aveva provocato l’innalzamento del terreno e il cedimento strutturale del muro che si era sgretolato addosso a Meco, travolgendolo.


La tragedia sul lavoro aveva profondamente scosso il mondo dell’edilizia tra il Veneziano e il Trevigiano. Fuori dal cantiere i colleghi avevano lasciato un mazzo di fiori e appeso uno striscione: «Fermate la strage. Non è giusto morire così». In memoria di Mustafà le sigle sindacali - la Feneal Uil, la Filca Cisl e la Fillea Cgil - avevano proclamato due ore di astensione dal lavoro a livello provinciale per sensibilizzare sulla strage degli operai nei cantieri edili. «Un piccolo cantiere edile senza piano di sicurezza e senza formazione per i lavoratori, nel quale si fa lavorare un operaio sotto un muro in demolizione senza alcuna protezione», avevano denunciato i sindacati. A dieci anni da quel giorno, la tragedia ha avuto il suo primo epilogo giudiziario.


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